Leggo curiose riedizioni della «casa comune» di Giuliano Pisapia. Ve la ricordate? Secondo me non se la ricorda nemmeno lui.

L’idea è semplice: non facciamo un partito ma una riunione di sigle e siglette che millantano numeri, ciascuna con un leaderino da proporre per un seggio parlamentare.

Ecco, per me questa – e lo ha dimostrato Leu – è la morte civile. Infatti, sono passato a miglior vita, diciamo. Altri sono rimasti lì, altri si sono dimessi ma per rimettersi, a qualche mese di distanza.

Ci vuole un partito, invece, inteso come comunità, come orizzonte politico, come luogo dove elaborare strategie collettive.

E di leader ce ne vogliono cento, uno per collegio, che sappiano fare cultura, politica, rappresentanza. E che non pensino di avere in tasca la pietra filosofale, pronta peraltro a negoziarla con chicchessia, perché il Pd fa schifo, ma se elegge me, son cose belle.

Altrimenti, va bene tutto. E come al solito, a sei mesi dalle elezioni, ci si ritrova. Per fare che? Per dare un seggio ai leaderini, che poi magari pure lo mancano.

E a proposito di leader ci vogliono persone nuove, che non costruiscano immagini puramente narcisistiche di sé, che sappiano lavorare con gli altri, non fare sparate in solitudine, che non vanno da nessuna parte. Persone che abbiano un progetto e l’umiltà per condividerlo.

Credo che Possibile stia raccogliendo molti consensi per questo. E altri ne verranno. Appunto perché non c’è il leaderino che parla in politichese. E chi doveva togliersi di torno lo ha fatto. Secco. Senza voltarsi indietro.

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