«Climate first», direbbero negli Usa, e lo diranno a gran voce se cambieranno Presidente. Quello attuale, si sa, del clima se ne frega. E un giorno sarà considerato tra i principali responsabili di guai grandi, immensi, definitivi. Chissà se ci sarà un tribunale, a Stoccolma magari, vicino all’isoletta di Greta, con cui si troverà a fare i conti. Lui e quelli come lui. Come Bolsonaro. Come chi, pur non essendo così interessato a negare, non avrà fatto nulla o non abbastanza.

Il clima viene prima di tutto, perché senza il clima non ci sono né gli italiani né gli altri popoli in cerca di rassicurazioni in se stessi, per usare un eufemismo.

Il clima viene prima, perché se non si contrastano ora gli interessi di chi vorrebbe raschiare il fondo del barile (tecnicismo) per fare gli ultimi, maledetti soldi, saremo fottuti. E ci vuole una loggia amazzonica, aperta e trasparente, che lo ricordi ogni giorno.

Il clima è primario anche per l’economia, perché è di un boom ecologico – che è anche economico – ciò di cui abbiamo bisogno. Noi italiani prima degli altri, appunto.

Prima il clima, è semplice e difficile insieme. Perché dobbiamo dirlo tutto, prima di tutto il resto, per prima cosa. In ogni ambito, in ogni settore, a ogni livello di responsabilità. L’ho ribadito in Struzzi!, per la milionesima volta. Dobbiamo correre. Velocissimi. A stormo, proprio. Sapendo che il predatore da cui fuggiamo siamo noi stessi e ciò che finora abbiamo fatto.

Il mio è soltanto un piccolo libro ma vuole essere un monito, un promemoria, un magnetino da frigorifero, un post-it da tenere in vista. Sempre. Prima.

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