Per concludere le note a margine dell’Antiorario Tour, non posso dunque trascurare il contesto di Fine, ovvero del romanzo che mi ha accompagnato in questo lungo viaggio attraverso l’Italia.

Se ho deciso di partire è proprio perché con Marco Tiberi abbiamo immaginato la storia di Sara e scritto il romanzo. Tutto si tiene.

Mi limiterò a un piccolo elenco di questioni, di cui è intessuto il testo letterario. Un elenco dedicato a elettori e elettrici, da pronunciarsi come faceva Benigni in una vecchia gag, con l’accento sulla seconda «e».

Prima di tutto, si narra del «Grande Sconvolgimento», così lo chiama Davide Serafin. Tensioni e conflitti e contraddizioni esploderanno. Il tema è climatico e sociale ed economico senza punteggiatura. Lo dicono e lo scrivono Greta e AOC, prima di loro, tra gli altri, più degli altri, Alex Langer. È una matrioska, una figura dentro l’altra, come lo sono ecosistema, guerre, migrazioni.

Per questa ragione i potenti non si salvano, nemmeno loro. Certo, per qualche anno le disuguaglianze aumenteranno. E la concentrazione di potere crescerà. Ciò illuderà ancora di più i privilegiati a credere in una loro salvezza, privata e personalissima. Ma se il caos si imporrà, tutto precipiterà. E non ci sarà salvezza per alcuno.

Tutto è relazione, tra gli uomini e le specie animali. E le piante, anche, che infatti stiamo sterminando. E l’uso delle risorse naturali. Pure le “pietre”, quindi. Il batter d’ali di una farfalla ha conseguenze dall’altro capo del pianeta, soprattutto se la farfalla le ali non le batterà più.

Come ci dice l’esperienza di Chernobyl, siamo più fragili di altre specie. A distanza di anni altre specie si sono adattate, noi no. Giovani e arroganti sulla terra, rischiamo di lasciarla ad altri. Di restituirla. Del resto, ci siamo imposti fin dai primordi decimando specie animali rapidamente e ferocemente. Il contrappasso potrebbe colpirci senza appello.

Di fronte allo sconvolgimento sempre più generalizzato, le migrazioni saranno una caratteristica dei prossimi anni. Le “loro” e le nostre. Perché – già ora – siamo già un Paese di emigrazione più di quanto non siamo un Paese di immigrazione. Maja Lunde (La storia dell’acqua, Marsilio) immagina un profugo francese, in fuga. Non nigeriano, francese. Per capirci.

Più grande è il pericolo, più grande deve essere il cambiamento. Del resto, «Là dove c’è il pericolo, cresce anche ciò che salva», come vuole il citatissimo Hölderlin. A un grande pericolo, esistenziale per tutte e tutti noi deve corrispondere un grande cambiamento, di tutte e tutti noi, se si cerca la salvezza. Un comune pericolo e una salvezza comune, come Enea ricorda ad Anchise, quando partono dalla città in fiamme, devastata, perduta per sempre.

Non dobbiamo limitarci contrastare il sistema, dobbiamo renderlo obsoleto con soluzioni più avanzate, sotto il profilo tecnologico ma immediatamente anche sociale. Le cooperative energetiche di comunità sono un bell’esempio in questo senso. Così come le scuole per il clima. Così come sistemi di efficientamento energetico, così come lo scambio sul posto nella produzione di energia.
Da ultimo, ma per primo, manca il futuro e per farlo tornare deve tornare la profezia.

È una questione generazionale: quando parliamo di «generazionale» siamo soliti pensare che riguardi il nostro rapporto con la generazione precedente. Uccidere il padre, si dice, in questi casi. Noi stiamo uccidendo i figli. E non per sopravvivere, come il Conte Ugolino. Per il suo paradossale contrario.

La storia non inizia con il nostro avvento sulla scena del mondo. Siamo tolemaici in proprio, pensiamo che tutto giri intorno a noi. Non è così. E chi nega il corso delle cose, affermando solo se stesso e il momento in cui gli è dato di vivere e di essere a suo modo protagonista della sua storia, non capisce il futuro. È un mondo che non gli appartiene.

Come uscirne, allora? La conversione ecologica è politica industriale. Riguarda il nostro modo di produrre e di consumare, di investire nelle cose “giuste” e di abbandonare quelle platealmente sbagliate e dannose.

La paura grande scaccia quella piccola? Per questo attaccano tutti Greta. Perché tipo Andersen dice che il re è nudo. E evoca una questione che supera tutte quelle che l’attuale politica – che di politico non ha più nulla – agita e solleva al solo scopo di strumentalizzarla.

Questo è ciò che abbiamo voluto raccontare attraverso una storia. Abbiamo, certo, drammatizzato, esasperando con tutta la precisione che possedevamo ciò che potrebbe accadere. Se lo abbiamo fatto è perché siamo convinti che, au contraire, dobbiamo fare tutto il possibile perché ciò non accada. Urgentemente.

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