La storia di Fine, che gli autori si augurano non sia la Fine della storia, inizia a novembre 2018. Ne scrivo le prime pagine tutte d’un fiato.

Eravamo ai primi «scioperi del venerdì», Greta iniziava a girare il mondo e di clima, in Italia, non parlava nessuno.

Ho subito pensato che ci volesse una mano capace di affrontare una sfida che andava al di là delle mie possibilità e ho chiesto aiuto a Marco Tiberi, di professione sceneggiatore. È un piacere vederlo lavorare e, se il libro ha qualità e pregio, come speriamo, è solo merito suo.

Insieme abbiamo lavorato per mesi, mesi in cui ci siamo sovrapposti, scambiati, alternati, scoprendo il piacere della scrittura a quattro mani e di un confronto intellettuale e letterario e cinematografico (e, sì, anche politico) mai banale, almeno per me.

Ecco, Fine. Un diario dal futuro, scritto su una nave in avaria, alla deriva, come il mondo che avrebbe dovuto attraversare. Le pagine parlano di negazione e rimozione e di un destino a cui stiamo andando incontro, velocissimi – in fine velocior, del resto. Senza cambiare mai. Anzi, negando il problema. Derubricandolo. Dileggiando in molti casi chi se ne occupa, profeti di sventura. Come se chi dice la verità menasse gramo.

La protagonista è cattiva, pessima. E scoprirà suo malgrado troppo tardi che cosa significa essere esposti a un cambiamento che non sappiamo più governare, proprio per non averlo governato troppo a lungo.

Il tempo sta finendo. E non è qualcosa che riguardi il meteo, soltanto, perché è in generale che le previsioni del Tempo sono sempre più fosche. E cariche di tensioni e di conflitti: alcuni li conosciamo, altri li scopriremo presto. E non è quindi questione di termometro, ma di disuguaglianze e sproporzioni: una misura che si è persa.

Ritrovarla non è auspicabile, è necessario.

Buona lettura.

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