L’appuntamento di questo fine mese a Verona, con quell’acronimo strano (WCF) che riunisce gli ultraconservatori, i fanatici, gli omofobi, puntualmente accompagnati dai fascisti e sostenuti dall’attuale classe dirigente locale e nazionale (Capo Salvini, Sindaco Sboarina, ufficiale di collegamento Fontana, vice di entrambi, in rapida successione) è il momento in cui la destra italiana e europea si manifesta con maggiore chiarezza.

Il ridicolo balletto del governo intorno al patrocinio, che rimane, non ci deve far dimenticare che si tratta di una questione drammaticamente seria.

Per la vita delle persone, per il discorso pubblico violento e discriminatorio nei confronti delle donne, per la concezione della democrazia in dissolvenza verso forme autoritarie, prese a modello, e nostalgiche di ciò che c’era prima della Costituzione.

Ogni giorno racconterò questa settimana «da casa», da quel quartiere che Salvini visita per fare le dirette Facebook in cui da fascistello ferma le persone con la pelle più scura per chiedere se hanno rubato la bicicletta su cui pedalano e che cosa fanno tutto il giorno, domanda che sarebbe da rivolgere a lui, piuttosto.

In quel quartiere dove i veronesi hanno scelto anni fa di dare casa a decine e centinaia di persone (buonisti e mondialisti pure loro?) e che ora è una porzione multietnica della città.

In questi tre giorni, la destra si manifesterà in purezza, con tutte le pulsioni tenute a freno in questi anni che ora si possono liberare, e non è un caso che lo faccia a Verona, luogo centrale di molte nostalgie repubblichine (c’è aria di Salò), con un sindaco che il bravo butèl che dialoga con la destra extraparlamentare, con il consigliere che saluta con il braccio teso le femministe.

La destra non più moderata che ha ceduto a sindaci e amministratori la cui storia risale al Msi e al mondo dell’estrema destra degli anni Settanta molte città del Nord Italia e non solo. Che si riconosce in Salvini, in Orbán e in Putin (Fontana funge da collegamento anche con quest’ultimo). Che pensa che il Veneto sia nazione e infatti vuole la differenziazione dal resto di Italia – per non dover più mantenere i «terroni» – e però contestualmente gioca al nazionalismo più irresponsabile per disarticolare l’Unione europea. La destra che è contro l’Europa per ragioni economiche, anche se non parla più di euro, ma soprattutto per ragioni culturali, perché non ne accetta gli elementi di laicità, che ne rifiuta gli elementi più progressisti.

La destra che specula sulle differenze di pelle e che dileggia le differenze di orientamento sessuale. La destra che affida a Pillon e alle sue deliranti teorie pseudo e antiscientifiche una partita delicata come quella che riguarda il diritto di famiglia. La destra che usa slogan fascisti, tali quali, così come sono, e che pensa – come già nel Manifesto di Verona del 1943, quello della RSI – che la religione debba essere una sola, ben oltre i Patti Lateranensi. E la religione è ovviamente la loro. La destra che pensa siano “sospetti” quelli che non credono. Lo ha detto recentemente Salvini parlando degli insegnanti e più in generali dei non credenti, a cui a sentir lui manca qualcosa.

La destra che ha un’idea di famiglia tradizionale che non esiste più nelle statistiche, che si spinge a mettere in discussione il divorzio (o a renderlo impossibile), che minimizza la violenza sulle donne, che nega la sproporzione di potere tra uomini e donne che condiziona e penalizza gravemente la nostra società.

La destra che vive di complotti e di invenzioni come il piano Kalergi, che mistifica, che parla di Soros dalla mattina alla sera ma non spiega i rapporti tra Lega e Cremlino. Altro che 49 milioni.

La destra che rimprovera il passato coloniale alla Francia, ma dimentica il proprio, che invece all’epoca rivendicava, in nome dell’impero. Eppure si tratta di Libia e Eritrea, per citare due casi non attuali, attualissimi.

La destra che si allea con i nazionalisti degli altri paesi nella più plateale delle contraddizioni, perché ognuno è giustamente nazionalista per i cazzi suoi, e voglio capire perché i nazistoidi tedeschi dovrebbero darci soldi a palate, gli ungheresi avvolti nel filo spinato prendersi una quota di migranti (i finanziamenti europei, però, quelli li prendono) e altre questioni essenziali di cui i protagonisti della tre giorni di Verona non sanno nemmeno che cosa dire. Essere nazionalisti gli basta, anche se siamo i nazionalisti più deboli e fragili del gruppo, più esposti a quei flussi della globalizzazione che li ossessionano ma sui quali non hanno niente di concreto e di risolutivo da proporre.

A loro non interessano le soluzioni, a loro interessa la propaganda, l’ideologia. E la loro è un’ideologia di «reazione», non solo perché si definiscono vandeani, ma perché reagiscono all’affermazione delle donne, di un mondo di diritti e di opportunità che si è esteso, e che se non facessero la voce grossa li farebbe a poco a poco sparire.

Finalmente però si muove anche quell’altro mondo, dopo anni in cui ministri dell’Interno che la sapevano lunghissima spiegavano che non c’era alcuna emergenza fascista, che non andavano affrontate né sciolte organizzazioni che invece erano e sono dichiaratamente contrarie alla nostra Costituzione.

Gran parte del merito va a un movimento bellissimo, l’unico vero movimento che si sia imposto in questi tempi in Italia. E parlo di Non una di meno. Che ha organizzato una straordinaria rassegna per rispondere a questo «attacco di reazione» e riportare le cose a posto, nello spazio e nel tempo. Trovate qui il programma, dove troverete anche me, tra le persone, inviato a Verona, inviato da casa, per mandare via questi fantasmi che vengono da un passato nero e che là vogliono riportarci.

[Segue]

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