Come ogni venerdì da parecchio tempo, Greta esce di casa ma non va a scuola. Ha dei compiti per il futuro: il suo, quello di tutti.

Prende un cartello e va davanti al Parlamento della Svezia, il suo paese, su quell’isoletta al centro di Stoccolma, e spiega che lei sciopera per il clima.

Indossa una cerata gialla.

Dall’altra parte dell’oceano, da un’altra isola dove giovanissima è stata eletta, Alexandria fa sapere che è giusto che la transizione energetica la paghino i ricchi. E così le cerate gialle assorbono anche le proteste dei gilet, coniugando clima e disuguaglianze (le due questioni sono intrinsecamente collegate: contrastare i cambiamenti climatici significa lottare per i cambiamenti sociali).

Ovviamente i conservatori di tutto il mondo, che negano e i cambiamenti climatici e le disuguaglianze, si danno fuoco, contribuendo ad aumentare le emissioni che il clima lo alterano.

In Italia il tema è poco trattato e supremamente bistrattato. Del resto, la questione è impegnativa: richiede uno sforzo culturale e un impegno collettivo, non le mosse individuali dell’ognun per sé. E pretende investimenti da una politica che invece si occupa dell’oggi negando il domani. Una politica che non pensa alla ricerca, se non a quella di un facile consenso. Una politica senza speranza, senza futuro. Che gioca con le paure perché non ha alcuna immaginazione.

Ecco, il venerdì, almeno il venerdì, pensiamoci. Perché dove c’è il pericolo – quello vero – cresce anche ciò che salva, come scrisse il poeta.

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