Abbiamo sottovalutato per anni il conflitto di interessi. Lo abbiamo colpevolmente attribuito a una sola persona e situazione, come vado ripetendo da tempo. E anche durante questa legislatura non si è fatto nulla per definire e approvare una norma, né per evitare che la classe dirigente incappasse negli stessi problemi.

Nel frattempo i due principali gruppi editoriali nazionali si sono fusi tra loro. Un unico gruppo ha assorbito due quotidiani nazionali. Ma non basta. Lo scontro tra Amazon e e/o, la prestigiosa casa editrice che ha ‘sfondato’ con Elena Ferrante, ci ricorda che altre questioni che riguardano la concentrazione di potere e la capacità di condizionare il mercato crescono ancora di più in presenza di piattaforme di contenuti informativi e/o (verrebbe da dire) commerciali.

La questione si intreccia a doppio filo con quella della disuguaglianza: parlare di concorrenza leale e di un mercato che abbia regole e limiti non sono affatto in contraddizione con il superamento delle disuguaglianze. Anzi.

Come ha scritto Maurizio Franzini: «per combattere questa disuguaglianza non bastano le politiche tradizionalmente redistributive. Occorrono anche politiche che modifichino le regole del gioco, che prevengano la formazione della disuguaglianza nei mercati. Queste politiche non possono che essere politiche dirette a ridurre il potere economico; dunque, politiche destinate ad incontrare potenti resistenze. Ma non è la prima volta che questo problema si presenta. Cosa ha fatto Franklin Delano Roosevelt negli anni ’30 se non riscrivere i con- fini di un debordante potere economico?»

Ne discutevo oggi con Christian Raimo e ne parlavo l’altra sera con gli amici di Critica liberale: la politica deve stare lì, concentrarsi sulle concentrazioni. E le famose «pressioni» (parola della settimana) devono essere rivolte proprio all’apertura di una stagione in cui non tutto sia assorbito e condizionato sulla base di regole che cancellano tutto quanto e strozzano gli attori in gioco.

La reductio ad unum è un pericolo molto grande, perché è del tutto evidente che simili concentrazioni non soltanto cambiano i valori economici in gioco, ma compromettono il gioco stesso, l’equilibrio sociale, ridisegnando rapporti di forza e di potere, cambiando in profondità il tessuto produttivo di un Paese, soprattutto se fragile, soprattutto se in difetto di innovazione e di capacità di competere.

La casa editrice della grande scrittrice internazionale Elena Ferrante può dire di no ad Amazon, grazie al coraggio di Sandro Ferri (che non a caso rappresenta un mondo coraggioso, quello dell’editoria indipendente), ma altri attori potrebbero non essere nelle condizioni di dire la propria (e lo saranno sempre meno) se non ci sarà un intervento della politica, a livello nazionale e europeo. Non è insomma una questione soggettiva, né si può risolvere il problema soltanto con l’esempio di chi riesce a mostrarsi saldo davanti all’imperatore.

Da una politica provinciale interessata soprattutto a diventare amica di chi ha potere e ha saputo concentrarlo, si deve passare a una politica globale consapevole delle opportunità e dei rischi che vanno di pari passo e che nessuno sembra voler considerare.

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