L’ossessione del partito del governo è quella di (non) consegnare il paese alla destra: è l’argomento più usato, più gettonato, più socializzato.

A parte che lo schema è proporzionale e non certo per scelta nostra: se non si vota un partito, se ne vota un altro. Se si preferisce la sinistra, insomma, si vota la sinistra, senza far vincere né la destra estrema né quella moderata, perché in uno schema proporzionale i voti pesano nello stesso modo.

Che le larghe intese hanno avuto come protagonista la destra, sia al governo, sia nel cammino verso le irresistibili riforme, bocciate dai cittadini o dalla Corte costituzionale: un successone.

Che le scelte hanno puntualmente penalizzato la sinistra e la sua rappresentanza, in tutte le sue forme, dalla liquidazione del sindacato al ciaone agli ambientalisti, dagli attacchi ai «professoroni» alle continue e ripetute polemiche contro tutto ciò che a sinistra si muove e con la sua storia, vissuto con insofferenza, anzi proprio con fastidio.

A parte tutto questo, lo avevo scritto tempo fa: se la destra è blocco navale per fermare i migranti lasciandoli là, meno diritti e più precarietà, fonti fossili, grandi e eccessive opere, riduzione della progressività, abolizione della soglia del contante, trovate elettorali sul fisco e sui bonus, riforme calate dall’alto senza confronto, allora la consegna è già stata effettuata, preparando il terreno alla destra istituzionale, quella che si rappresenta come tale.

Una destra ufficiale che non a caso ha apprezzato l’abolizione dell’articolo 18 e di altri elementi dello Statuto e la conservazione di tutte le forme di precarietà già in vigore; la campagna di Libia di Minniti; lo Sblocca Italia di Lupi, le sue autostrade, gli inceneritori, la mappa delle infrastrutture ereditata dai precedenti governi, dalla Valsusa a Scilla; una destra che non ha certo contrastato la buona scuola, anzi ha apprezzato la «rima» tra Gelmini e Giannini; si è detta soddisfatta per il contante, per l’abolizione berlusconianissima delle tasse sulla prima casa anche di chi sta molto bene, la mancata riforma del catasto e il benedetto conflitto di interessi, i bonus che prescindono dal reddito e dal patrimonio.

Una destra che non ha certo denunciato i copiosi contributi alle aziende, si è precipitata a dare una mano alla legge elettorale che blocca tutto, le candidature e il sistema. Una destra che ha apprezzato le cose fatte e quelle non fatte, con il biotestamento ancora appeso in Senato e la cannabis ancora bloccata. Che ha imposto una menomazione della legge sulle unioni civili, che ha registrato la continuità con la legislazione sull’immigrazione, tra Bossi-Fini e clandestinità, che ancora frena sullo ius soli che non è nemmeno uno ius soli, per la verità.

Una destra che ha visto un Berlusconi sornione, che ha giocato di rimessa, apparendo moderato al confronto con la prepotenza e la mancanza di moderazione di altri. Un Verdini protagonista, recentemente tornato in auge, il trattino tra destra e centro. Un Alfano superministro forever, al pari di Lorenzin ormai «introiettato» sotto il profilo della cultura politica.

Uno scenario che anticipa anche la prossima legislatura, nelle intenzioni di chi ha a lungo parlato del «partito della nazione», in cui ci si contendono i senatori e i candidati, come è accaduto recentemente in Sicilia. E anche gli argomenti, come abbiamo visto.

Le larghe intese dovevano durare poco ed essere sbaragliate dall’arrivo del nuovo, che si è invece subito confuso con il vecchio, ha prolungato la stagione del trasversalismo e del trasformismo, associandosi con chi governava già, adottando senza fare una piega, anzi con orgoglio, le misure e le soluzioni proposte dagli avversarsi di un tempo.

Non bisogna consegnare il Paese alla destra: vero, infatti si deve votare la sinistra e chi non si è consegnato già alla destra, mimandola, copiandola, aderendovi, annullando le differenze su questioni fondamentali e poi cercando il voto alla fine della legislatura fingendo sorpresa e preoccupazione: un voto «utile», certamente, a far valere le ragioni degli altri, esattamente come è accaduto in questi cinque anni. La consegna di un «pacco», in tutte le accezioni del termine, che è arrivata già a destinazione.

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