L’altra sera in Spagna le cittadine e i cittadini hanno potuto apprezzare il confronto televisivo tra Manuela Carmena e Ada Colau, sindache di Madrid e di Barcellona.

Chi come me ha voluto guardare la puntata l’ha molto apprezzata. Il motivo? Lascio la parola a Giacomo Negri perché non saprei dire meglio di così:

Mi colpiscono la compostezza, la naturalezza e l’autorevolezza con cui riescono a dialogare, a tracciare una strada di ragionevolezza e rispetto per le idee altrui, con cui sanno farsi carico di quel ruolo di guida che deve avere una politica progressista e liberale: le loro idee sono probabilmente minoritarie, ma hanno la forza di provare a cambiare l’esistente.

Una forza femminile – se così possiamo chiamarla – di testa e di cuore, determinata ma senza sfoggio di muscoli.

La misura e l’importanza che danno alle parole che usano lascia attoniti, abituati come siamo ad accettare tutto e assuefatti a un livello infimo del dibattito pubblico.

La loro non è una ricerca del compromesso per il potere, ma per la salute democratica della Spagna e, di conseguenza, per l’Europa intera.

In questi tempi di rigurgiti fascisti, di odio sui social, di discredito della politica, di manomissione delle parole, la loro è una «lectio magistralis» sulla democrazia (bellissimo il parallelo che fa Carmena tra lei e Colau, come appartenenti a due generazioni politiche che hanno contribuito a riportare e poi a tenere viva la democrazia spagnola), trasmessa senza alcun senso di superiorità, ma con la coscienza di dover dare l’esempio.

Quei video mi commuovono per la passione politica che, pacatamente, trasmettono.

Riportiamo in particolare due momenti della trasmissione.

 

Manuela Carmena: «La democrazia è ascolto, la democrazia è rispettare le differenze, la democrazia è non rinchiudersi in quelli che sono semplici slogan. Se queste parole ci dividono, cerchiamone di altre. Cerchiamo un modo di trovare un accordo».

Ada Colau: «Dobbiamo chiederci soprattutto come uscire da questa situazione. È vero che quando ci sono posizioni estreme, esse tendono a generare anticorpi e blocchi contrapposti, in uno schema in cui la maggior parte delle persone non si sente né a suo agio, né riconosciuta, né rappresentata. Soprattutto quello che dobbiamo fare, più che entrare in quel linguaggio, è capire come cambiamo quel linguaggio. Per questo insisto: senza che nessuno rinunci alle proprie convinzioni… Viviamo in un modo di fare politica in cui sembra che fare concessioni, ascoltare l’altro, riformulare le proprie posizioni, introdurre sfumature è vissuto come ambiguità, come equidistanza, come indefinitezza, come codardia. Per questo molte diciamo che si deve femminilizzare la politica, abbassare il testosterone, superare le dicotomie del «bianco e nero», e senza che nessuno rinunci alle sue idee, proposte e principi, però imparare ad affrontarlo in un altro modo, perché è chiaro che così non funziona».

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