Si susseguono gli appelli – appello figlio di Apollo, malizia qualcuno – per l’unità della sinistra.

Come sapete da molto tempo parlo di una opzione autonoma e unitaria, che lanci una sfida a tutto campo, per dare rappresentanza a un’area politica del paese ma soprattutto per cambiare il quadro politico a cui siamo stati portati dalla legislature dei due partiti della nazione, quello del governo e quello dell’opposizione.

L’unità è precondizione ovvia, banale, come ricerca di una conversazione comune, e mi rivolgo – per il tramite di Nicola Fratoianni, Roberto Speranza e il campo di Giuliano Pisapia – a tutti gli appassionati, per dare concretezza immediata a tutto ciò che sentiamo dire.

Nella democrazia della «trattativa» e del compromesso opportunistico in cui siamo sprofondati, dobbiamo lanciare una sfida a tutti gli altri.

Avere una certa «follia», come alcuni movimenti degli inizi, liberatori e gagliardi, senza perdere la democrazia interna e la libertà degli elettori (messa in discussione dalla pratica politica – vedi il caso dei 5s a Genova – e dalla decisione di sostenere la legge elettorale blindata, condivisa praticamente da tutti).

Con ambizione, ma senza scadere nella demagogia, di proposte economiche che hanno coperture immaginarie e progetti largamente infondati. Oltre a problemi di linea prima culturale che politica.

Non è una questione di tribù, ma di progetto, di manifesto, di impegni da prendere e da mantenere con coerenza.

Dobbiamo smetterla di parlare di tribù e parlare di cose da fare.

Dobbiamo superare le etichette e restituire loro un significato che per larga parte del paese hanno perduto.

Dobbiamo avere un profilo repubblicano, democratico, a tutela delle istituzioni, a difesa del pluralismo, della rappresentanza.

Genuinamente antifascista, durissima contro il razzismo che striscia, femminista in tutti i sensi, preoccupata del diluvio a cui ci avviciniamo senza opporre che timide resistenze e della transizione ecologica come politica industriale, capace di investire per «prima cosa» sulla ricerca e l’istruzione, netta nel restituire dignità, diritti e «giusta paga» al lavoro, ossessionata dalle disuguaglianze e dal loro superamento e quindi progressiva sotto il profilo fiscale, per molti, non per pochi, che sappia tornare alla parola investimento in un paese che investe pochissimo su se stesso e sul proprio futuro: ecco come immagino la nostra «parola» nel suo nuovo significato, manifesto e diretto, nitido e immediato.

Dobbiamo essere generosi e lucidi. E fare meglio degli altri nella scelta delle candidature, nella promozione delle competenze, senza veti e contrapposizioni, tra chi è civico e chi non lo è. Perché non sia il processo di un capo, ma la libera iniziativa delle persone che si intendono organizzare da loro.

Senza indulgere nella convegnistica, ma prendendo decisioni chiare sul che cosa e sul come, perché è già molto tardi, e se ne rende conto soprattutto chi è fuori dallo schema del «sistema» da molto tempo.

Possibile lavora a questo. Possiamo dire, è nato per questo. E si mette a disposizione per realizzarlo, attraverso un manifesto programmatico, le assemblee locali, la mobilitazione di piazza su proposte concrete, precise, inequivocabili.

Ecco, dobbiamo essere inequivocabili, nel momento delle opacità, dei calcoli e delle tattiche. Diversi. E credibili.

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