Con Possibile abbiamo risolto il problema dei rapporti con il Pd nel maggio di due anni fa.

Nel frattempo il Rubicone da attraversare è diventato tipo il Rio delle Amazzoni. Chi lo guada incontrerà più difficoltà, per avere tardato troppo a lungo. E a proposito di ponti che qualcuno vorrebbe gettare, di acqua ne è passata molta, forse troppa, e in ogni caso si dovrà tenerne conto, soprattutto se si vorrà fare qualcosa di credibile.

Quei rapporti li abbiamo risolti in relazione a questioni politiche gigantesche, che si accompagnavano con una gestione del potere e una cultura politica in cui non ci riconoscevamo. Siamo usciti dalla maggioranza e quindi dal Pd che la guidava, in quest’ordine.

Lo diciamo alla famiglia Rossi che lancia la rivoluzione socialista: per essere «socialisti rivoluzionari» non si può sostenere Jobs Act, no al referendum sulle trivelle, sì al referendum costituzionale, Italicum e tutto il resto.

Abbiamo chiesto a tutti i soggetti della sinistra diffusa (in questo caso fin troppo) di confluire in comitati locali, a prescindere dalla provenienza di sigla, per costruire un nuovo soggetto politico, ma solo pochi – come i verdi di Green Italia – hanno scelto di promuovere insieme un percorso di tipo nuovo.

Quando sono uscito dal Pd esistevano quattro partiti comunisti, due partiti verdi, la diaspora socialista e molto altro: da qualche giorno la costellazione si è estesa ad almeno altri due soggetti. Non è con una nuova sigla a settimana che costruiremo qualcosa. Leggo ad esempio che chi è uscito da Sinistra Italiana vorrebbe unire la sinistra italiana. Non è solo un problema di maiuscole, evidentemente.

Non ci siamo collocati «a sinistra del Pd», perché crediamo che il problema non vada posto in questi termini: il Pd ha fatto politiche di centrodestra, quindi chi non si riconosce nel Pd si colloca, secondo noi, nello spazio di una sinistra di governo che guarda alla società.

A radicalizzarsi non siamo stati noi, ma la società e le questioni che riguardano la vita delle persone, i loro diritti e le loro garanzie: sorprende che chi doveva rappresentare la parte più debole si sia schierato con il più forte e con i suoi interessi, denigrando chi segnalava quelle preoccupazioni. 

Ora tutto si muove a sinistra, molto tardivamente, con formule non proprie chiarissime e senza tener conto di ciò che si è votato finora, che mi pare invece la questione fondamentale: per parlare dei prossimi anni si deve tenere conto degli ultimi, altrimenti vale tutto. E i cittadini se lo ricordano molto bene.

La questione della coerenza e della linearità è consegnata all’impolitica: se non sei compromissorio, sembra di capire, non sei nemmeno politico. Quella che abbiamo chiamato scissione nel 2013 – ovvero l’affermazione del M5s anche tra gli elettori del centrosinistra – avrebbe dovuto far riflettere. Già nel 2013, appunto.

La nostra proposta è quella di due anni fa ed è basata su quattro parole d’ordine: autonomia, unità, progetto e società. La prima è condizione della seconda e si basa sul terzo elemento, il progetto di governo: traduzione, l’unità si può fare solo se è chiaro il profilo autonomo, rispetto a Pd, M5s e ciò che c’è già, di chi la persegue. E l’unità si crea soltanto attorno a un obiettivo: in avanti, quindi, non sommando ciò che c’è già.

Portare la società in Parlamento non è «populismo»: il passaggio costituzionale secondo il quale la sovranità «appartiene al popolo» deve essere ‘rappresentato’ attraverso le competenze e l’impegno che si è maturato, a dimostrazione di condotte che la «disciplina» e l’«onore» previsti per gli amministratori pubblici sia maturato prima di assumere incarichi.

Se parliamo di società, da ultimo ma per primo, non è un mero riferimento: per noi è fondamentale che il ceto politico non si barrichi in se stesso, ma spalanchi porte e finestre al contributo della società (non solo quella civile, che anche questa è una definizione vecchia e inutile, proprio la società) che vuole partecipare per un’Italia laica, ecologista, femminista, che abbia a cuore l’uguaglianza, che proponga grandi questioni (planetarie) e offra le soluzioni per affrontarle.

Laica, ecologista e femminista non sono parole: sono un preciso programma politico. Vastissimo. E insieme al riferimento al superamento delle disuguaglianze offrono una chiave inedita per superare la crisi economica, sociale e ancor prima culturale. Nel nome di Langer.

Noi ci alleeremo con queste cittadine e questi cittadini e quindi con tutti i soggetti politici che vorranno sostenere questa formula e che sottoscriveranno questa impostazione. Proprio il contrario di ciò che si continua a vedere nelle cronache giornalistiche. I protagonisti non siamo noi né altri gruppi, siete voi. Noi ci mettiamo a disposizione perché questo protagonismo si organizzi e proceda verso un obiettivo. Che non si disperda, che non si vanifichi da solo.

I molti però si devono organizzare, se vogliono sbaragliare le corporazioni e gli interessi dei pochi. Mi ha colpito molto quando qualcuno fece notare che Mafia capitale (a proposito di mafia, che non cita più nessuno) era organizzatissima, mentre la società si faceva permeare anche a causa della propria sufficienza. Ecco, contro i pochi organizzatissimi ci vuole altrettanta attenzione per un’organizzazione plurale e però presente dove accadono le cose.

La Costituente è un’idea aperta: in due direzioni. Accogliamo i contributi e li offriamo a chi li vorrà condividere. E così immaginiamo la natura stessa di Possibile.

Siamo pochi, sappiamo di non bastare a noi stessi. Ciò però è per certi versi salutare e ci invita a riconoscere con umiltà e però determinazione ciò che è già possibile nella società. Senza volercene appropriare, ma aprendoci ad esso, in un confronto serrato e nel tentativo di trovare soluzioni condivise.

Siamo arrivati al dunque, perché di tempo se n’è perso a sufficienza. Chi vuole partecipare, ci trova qui.

Più saremo, meno resteremo delusi.

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