Verrà il giorno, già ad aprile o giugno, forse in autunno, in cui tutti quelli del Pd che non vogliono più Renzi si troveranno Renzi sulla scheda elettorale. Come candidato premier. Con un programma che risentirà profondamente delle cose fatte dal Pd in questa legislatura. Chi chiede discontinuità, quel giorno, si troverà il continuum.

Nel corso dell'assemblea del Pd, nessuno gli ha chiesto di dimettersi. Chi chiedeva un congresso si trova con un voto praticamente all'unanimità a favore di una relazione in cui la prospettiva del congresso anticipato è esclusa. Non messa in forma dubitativa. Esclusa. Una relazione in cui si parla chiaramente di elezioni anticipate, senza discutere, se non sotto il profilo psicologico, di ciò che è successo il 4 dicembre.

Verrà il giorno in cui tutto questo, che è già chiarissimo, forse lo sarà anche per chi continua a negarlo. Per chi accetta l'insulto e le risate che lo accompagnano (soprattutto queste ultime) come se fossero un'eccezione. L'ennesima eccezione. Resta da capire quale sarebbe la regola, oltre a questo continuo «chiagni e fotti», in cui il vittimismo è puntualmente preludio a un atto di arroganza.

Verrà il giorno in cui ci si renderà conto che il dilemma di ieri – nelle parole di un notista politico molto esperto – non può limitarsi alla domanda se «prenderà corpo un “nuovo” Renzi, oppure si va verso un restyling tattico». Anche ammesso che Renzi voglia cambiare e negare se stesso, per lui parleranno i tre anni in cui ha governato. E non mi pare che nelle scelte di fondo – la lista dei ministri, il 'programma' del governo – ci sia stata alcuna discontinuità. 

Verrà il giorno in cui si sveglierà chi pensa che si possano rimuovere le ragioni della sconfitta e chi pensa che si possa rimuovere il fatto che chi le rimuove non viene rimosso. Per chi pensa che poi si possa trovare il modo di andare d'accordo, anche se non si va d'accordo nemmeno sulla Costituzione.

Verrà il giorno in cui ci si renderà conto che non si può essere per una riforma dei voucher e sostenere un governo che i voucher non li riforma. Anzi. Che ne fa una bandiera. Il giorno in cui ci si accorgerà che non si può parlare di disuguaglianze nei comizi e nei convegni (che andrebbero aboliti, questi convegni) e non votare nulla di 'simile' in Parlamento. Anzi. Il giorno in cui si prenderà coscienza del fatto che la deriva è iniziata troppo tempo fa e che troppe cose sono successe, per poter anche solo pensare di poter riavvolgere il nastro. Non si può volere il reddito minimo, sostenendo chi è contrario alla sua introduzione. Non si può volere un modello di sviluppo diverso, dopo avere visto sostenere dal proprio governo (e con il proprio voto) Sblocca Italia, Ponte e trivelle.

Verrà il giorno in cui si prenderà atto che sostenere o allearsi con il contrario di ciò che si pensa è una follia. Perdente, oltretutto.

Verrà il giorno in cui, dopo aver scritto millemila pagine su come dovrebbe essere il Pd, ci si accorge di com'è, da anni, il Pd e qual è la cultura politica che lo ispira. E di come le cose siano andate inesorabilmente peggiorando. Si teorizza la partecipazione, e non si anticipa il congresso: no, si anticipano le elezioni.

Verrà il giorno. Intanto, noi non aspettiamo. Non abbiamo motivi per farlo. Non ci sono ragioni per attendere. Lo dico anche a Michele Emiliano, che pur avendo sostenuto l'attuale segretario nella fase fondamentale del 2013-2014, sembra essere il più lucido e consapevole del problema.

Se vai con Renzi, sei Renzi. Per evitarlo, non ci devi andare. E l'unico modo di cambiare il Pd guidato da Renzi, che sarà anche nella prossima fase il leader inevitabile (anche perché non ci sono strumenti per cambiarlo, ammesso che dentro quel partito ci siano i voti per farlo), è prenderne le distanze. E fare altro: fare ciò in cui si crede, non criticare un leader che fa e induce a fare il contrario. Costruire un progetto di governo e scegliere in modo democratico le persone più autorevoli perché ci rappresentino in Parlamento.

Non per allearsi con il Pd di Renzi, con la più classica delle mosse tattiche, che sposta solo il problema, in una sorta di pia illusione, che in realtà è soltanto un accordo di potere, solo esteticamente più gradevole, ma in tutto simile a ciò che si propone di fare alla destra del Pd, con Alfano e i suoi, ormai embedded.

Se si perde altro tempo (e se ne è perso tantissimo), non si otterrà nulla. Anzi, il logoramento riguarderà tutti. Perché poi appunto si vota. E non manca molto. Prestissimo, presto o poco più tardi, verrà il giorno.

E in quel giorno ci sarà un'alternativa a Renzi con quelli che odiano Renzi e che però si candidano insieme a lui.

Un'alternativa che non sarà il 5 stelle con il suo trasversalismo e le sue opacità politica e culturale.

Una proposta di governo repubblicana, laica, di sinistra, senza estremismi e dotata piuttosto di elementi di comprensibilità e di radicalità. Con un progetto di governo chiaro e semplice. Con impegni precisi e non ghirigori assurdi. Con persone che li sappiano rappresentare e che non facciano del compromesso (a cominciare dal compromesso con se stessi) l'unica chiave di interpretazione della realtà. Anche perché la realtà, soprattutto di questi tempi, non è compromissoria. Al massimo, compromessa.

 

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