Il film Domani, che uscirà nelle sale il 6 ottobre, è un film che ogni politico (nel senso ovviamente largo di chi è interessato alla politica) dovrebbe vedere, magari associando alla visione anche la lettura del libro che l'accompagna (edizioni Lindau).

Le ragioni sono tante. La prima è che Domani si pone e ci pone domande corrette, necessarie, urgenti. Qualcuno dirà che le risposte non sono applicabili ovunque e dovunque e una qualche ingenuità serpeggia in tutto il film: perché anche l'ingenuità – per motivi direi etimologici – è corretta, necessaria, urgente.

Il mondo è guasto, per ragioni legate al nostro paradigma politico e economico. Anzi, economico e politico, perché Domani ci richiama a una questione non banale: la politica non decide, non ha coraggio, non c'è. Non è all'altezza della sfida: si preoccupa del presente, avendo dimenticato il passato, senza interrogarsi sul futuro. «I politici non reagiscono», dice la voce fuori campo all'inizio del film. Al massimo reagiscono al potere, alle pressioni di ciò che c'è già: non alle pressioni – ben più forti – di ciò che potrebbre essere.

Guardando domani ci si rende conto che ci vorrebbe una piccola macchina del tempo politico grazie alla quale collocarci direttamente nel 2030 e raccontare, a ritroso, la storia degli anni che sono passati.

Una storia del futuro, potremmo dire. O ancora meglio: una storia dal futuro.

Per evitare di perdere occasioni che si impongono oggi e che invece sono rimandate. Domani ci ricorda che i prossimi vent'anni invece sono decisivi. Lo fa, peraltro, anche l'Onu. Lo fanno, peraltro, anche i grandi vertici sul clima.

Sempre che al 2030 si arrivi ancora sani.

Perché come ricorda Lester Brown nel libro di Cyril Dion:

Esiste un piccolo indovinello francese che può rappresentare una risposta a questa domanda. Di solito viene usato per spiegare ai bambini la crescita illimitata. C’è una ninfea in uno stagno che il primo giorno possiede una sola foglia e il cui numero di foglie raddoppia ogni giorno; se sappiamo che lo stagno sarà totalmente soffocato dalle foglie il trentesimo giorno, quand’è che sarà pieno per metà? La risposta è: il 29° giorno. Per 29 giorni possiamo continuare a pensare che va tutto bene, che abbiamo ancora tempo. E in una sola giornata, la situazione precipita. È una metafora del nostro mondo. Le nostre economie si sono sviluppate a una velocità sfrenata negli ultimi decenni e una parte di noi crede si possa continuare così all’infinito. Ma non è possibile.

Ci vuole una nuova idea di sovranità, costituzionale, democratica e ambientale. Ci vogliono scelte da assumere qui e ora, a cominciare dalla questione – sovrana, potremmo dire – dell'energia e della sua produzione diffusa e del suo uso consapevole, all'insegna di ovvi (e però poco praticati) modelli di efficienza.

L'Italia ha conosciuto una grande stagione delle rinnovabili, ad esempio, che poi è stata annientata  – ve lo può raccontare qualsiasi operatore del settore – dalle politiche degli ultimi governi. E invece se c'è una cosa sulla quale dovremmo puntare tutto, è proprio questa. Se vogliamo pensare a un futuro per i nostri figli, che ci guardano, mentre noi guardiamo da un'altra parte.

I nostri avversari sono certamente le lobby (ormai argomento-alibi che spiega tutto quanto), ma anche l'inerzia, l'ignoranza e la stupidità dei giorni che precedono il 29°. I nostri avversari sono certamente i governi scarsi – e più sono tronfi, più sono scarsi – e i ministri incompetenti o competenti, in una programmazione però che iniste su cose che non funzionano già più. Ma il nostro vero avversario, l'asteroide che incombe, siamo proprio noi stessi. Che possiamo fermarci, però, ci dice Domani. Facendo come i danesi con l'energia dei cittadini o come i francesi delle fattorie di nuova generazione, o come i californiani con i rifiuti, o come noi, quando ci mettiamo a fare qualcosa di buono. Come la mamma della studentessa che è intervenuta alla fine della presentazione del film, che è «fissata» a detta di sua figlia con il compostaggio. Si chiama Flaminia. Come il ragazzo che ricicla per ricaricare il telefonino. Si chiama Elio. Come quelli che in tutto il Paese sono già in cammino. Mentre le classi dirigenti sono ferme. O distratte. Da qualcosa, a volte. Dal niente, spessissimo.

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