Quando si è candidato, in Italia lo seguivamo in tre. Bisogna vincere – sapete – e i commentatori anche qui avevano già deciso: vince Clinton, tutto il resto è noia.

E così l’improbabilissimo Bernie del Vermont non se l’è filato nessuno (quasi come otto anni fa, all’inizio). Troppo radicale, socialisteggiante, vecchietto, non avrebbe alzato un voto, se non nelle comunità della costa est, troppo europea per spiegare l’America.

E giù di ironie, ovviamente. Conta vincere e salire sul carro del vincitore, senza farsi troppe domande.

Ora i sondaggi dicono che Sanders ha recuperato 20 punti di svantaggio in Nevada, che nel New Hampshire ha portato a votare più persone di quanto non accadde con Obama, che piace ai giovani e agli outsider, benché lui sia outsider per definizione ma abbia un migliaio di anni, non sia proprio cool, non possa essere accostato né a Obama né ai Kennedy.

Parla di cose necessarie, Sanders, e anche se non vincerà ha dimostrato che c’è qualcosa da sistemare in un sistema politico che corrisponde al sistema finanziario, perennemente sotto ricatto. Che si deve rendere accessibile l’istruzione (tra qualche minuto parliamo di quanto sta succedendo in Italia rispetto al diritto allo studio, grazie alle brillanti idee dell’attuale governo). Che si devono pagare bene le persone che lavorano. Che bisogna regolamentare Wall Street e tutti i suoi ‘derivati’. Che è meglio non prender pacchi di soldi dai gruppi multinazionali, preferendo i cittadini alle lobby. Che ci si deve concentrare sulle questioni essenziali, sui diritti e sulla parità di condizioni. Che per farlo bisogna essere liberi. Che magari si deve legalizzare la Cannabis, anche.

Sanders non urla e non strepita, almeno non come succede qui da noi. Parla di una rivoluzione (solo?) a chi non ci credeva nemmeno un po’ (del resto, chi crede più alle rivoluzioni?). Non fa confusione: propone cose di sinistra, elementari, che farebbero stare meglio chi sta peggio.

Seguirlo non è provincialismo, è il suo contrario. Le primarie americane – grazie a lui – sono cambiate. I Clinton (parlo al plurale perché negli Stati del Sud Bill sarà fondamentale) hanno dovuto cambiare atteggiamento. Ultimamente dicono che Sanders non ha una visione complessiva, parla sempre delle stesse cose. Ma forse è proprio quello che conta: parlare delle stesse cose e offrire – a partire da real issues – una visione del mondo.

Una politica autonoma, minima, rigorosa e netta proprio perché parte da politiche autonome, minime, rigorose e nette.

Cose da perdenti, direbbero i commentatori italiani, ma forse la sinistra proprio ai perdenti si deve rivolgere, spiegando ai vincenti che va benissimo così, ma a tutti toccano dignità e rispetto. E l’opportunità di cambiare posizione, di rovesciare lo schema, almeno un po’.

Quando sono stato a New York, in un negozietto vicino al grattacielo che sembra un ferro da stiro, vendevano un souvenir con Bernie 2016 e un punto di domanda ironico che lo accompagnava. Ecco, facciamoci qualche domanda anche noi.

A partire dalla coerenza, essenziale, da un programma elettorale (che in Italia nessuno sembra avere più), da comportamenti credibili e da uno stile che li rappresenti. Sia che si tratti di diritti (dopo lo spettacolo osceno degli ultimi giorni in Senato, da parte di tutti) sia che si tratti di economia (dopo i due anni che ci riportano al punto di partenza) sia che si tratti di scelte che riguardino il futuro (che poi sono istruzione e ambiente, vero?).

Non c’è alcun bisogno di fare i fenomeni, di furbizie e di scortesie, si può essere educati e radicali. Anche a una certa età, anche quando il tempo che passa fa pensare che sia tutto così e tutto così deve rimanere.

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