Walter Veltroni dichiara in un’intervista al Corriere della Sera che dirà sì alla revisione costituzionale firmata dal premier. E questa, indubbiamente, non è una notizia. Lo farà perché «va nella direzione del rafforzamento dell’esecutivo». Che tutti vedono come – da Berlusconi a Renzi – sia stato debole. In realtà Veltroni si pone, in questo modo, su una linea su cui i politici italiani (da Craxi a Renzi) passano e ripassano da anni (senza considerare che la forza o la debolezza dell’esecutivo sono soprattutto una questione politica), con soluzioni per lo più cervellotiche e farraginose che cercano di rafforzare l’esecutivo a spese della volontà popolare. Lo fa anche questa revisione costituzionale, come ammette finalmente un suo sostenitore (quale Veltroni è), a differenza di quanto ci avevano detto finora il premier, la ministra e i loro aiutanti, sempre lì a sottolineare come non cambiasse la forma di governo. Ma lo fa soprattutto una legge elettorale che consegna a una minoranza (più o meno esigua) il governo, in barba al consenso elettorale.

In effetti, è proprio la questione della partecipazione popolare ad essere invece totalmente trascurata da tutte le proposte di revisione costituzionale che si sono succedute. E forse è così che si è arrivati a elezioni in cui ha votato meno del 40% degli aventi diritto (è il caso clamoroso dell’Emilia Romagna poco più di un anno fa) o comunque poco più della metà degli aventi diritto (è il caso delle europee del 2014, con il 57%). Del resto è lo stesso Veltroni a ricordare che anche il suffragio universale, che ci pare oggi del tutto assodato, è invece una conquista recente. E, in effetti, in Italia, contro il suffragio universale è stata ingaggiata da qualche tempo una vera offensiva. Con la giustificazione dei costi della politica si finge di eliminare enti e organi, sopprimendo, in realtà, il diritto dei cittadini di sceglierli. È successo per le province, vive e vegete e pronte a chiedere tributi (come ciascuno può vedere dalle cartelle esattoriali, ad esempio della Tari), ma non più votate dai cittadini (in barba al principio no taxation without representation). E sta accadendo per il Senato, che rimane lì, pronto a discutere qualunque legge, rinviando alla Camera che dovrà riesaminare (proprio come oggi), ma che non si vorrebbe più eletto dai cittadini, bensì dai consiglieri regionali.

Così, se – per la gioia di tutti quelli che vogliono il rafforzamento dell’esecutivo – la sera delle elezioni, grazie all’Italicum, sapremo chi ha vinto alla Camera, per il Senato accadrà di più: si saprà chi ha vinto, la sera prima della elezioni, in base alla spartizione tra le forze politiche (già realizzata con successo per le province).

Un’ultima precisazione: Veltroni dichiara il suo convinto sì alla revisione Renzi, pur riconoscendo due difetti enormi: la carenza della «democrazia dal basso» e la debole rappresentanza delle autonomie. In pratica, un disastro. Come diciamo da tempo: un Senato che non rappresenta niente e nessuno e un Parlamento (Camera e Senato) incapace di controllare. Però, Veltroni voterà sì, nonostante tutto. Come faranno molti altri critici della riforma. Soprattutto del partito del premier, o perché ritengono prioritario comunque il rafforzamento dell’esecutivo (sul quale, a proposito di conquiste recenti, sarebbe il caso di essere forse più cauti) o, magari, perché il premier è il segretario del loro partito e tra la Costituzione e lo spirito di corpo preferiscono il secondo. Proprio all’opposto di quanto accadeva nel periodo della Costituente. Del resto, anche Bersani ha dichiarato più o meno la stessa cosa: voterà sì benché sia molto più critico di Veltroni, abbia paura del plebiscito (che Renzi ha già indetto, grazie al voto anche di Bersani e dei suoi) e ovviamente non gli piaccia l’Italicum, che più o meno tutto il Pd ha votato, salvo pochissime eccezioni.

La speranza è che interviste come questa, in realtà, siano la migliore spiegazione del perché votare no, per una riforma diversa, con i cittadini protagonisti, con le istituzioni rafforzate e rese più credibili, perché i diritti siano esigibili da parte di tutte e tutti e proprio per «attivare un grande circuito di democrazia dal basso» (direbbe l’intervistato… che poi «la democrazia dall’alto» non esiste: ed è proprio questo il trucco e insieme il problema).

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