Siamo partiti il 13 maggio, quando a un seminario sulle riforme elettorali e costituzionali abbiamo lanciato i referendum sull’Italicum, iniziando a parlarne con diversi soggetti politici e associazioni per condividere il percorso sin dall’inizio.

Immediatamente abbiamo ritenuto di unire ai referendum in materia elettorale, con i quali puntiamo soprattutto ad aprire la strada a una legge di stampo maggioritario che riteniamo la più coerente con una scelta di governo da parte dei cittadini, altri quesiti sui provvedimenti più miopi che abbiamo visto approvare – sempre con strappi e forzature – negli ultimi mesi da una maggioranza raccogliticcia, ormai del tutto separata dal rapporto con gli elettori.

Abbiamo quindi ripreso la questione delle grandi opere (che hanno portato tanti sprechi e corruzione) e delle trivellazioni rinvigorite dallo “sblocca-Italia” e su questo abbiamo elaborato – con la collaborazione di Green Italia e di alcuni esperti – tre quesiti (su uno dei quali c’è anche piena convergenza con l’iniziativa delle Regioni), a conferma che per noi l’ambiente non è l’ultimo capitoletto da aggiungere – come da tradizione italiana – in fondo al programma, ma è la chiave per una riconversione ecologica dell’economia e quindi per lo sviluppo.

Ci siamo concentrati anche sul jobs act, che contiene regole addirittura in contrasto con il programma con cui lo stesso PD si è presentato alle elezioni, ottenendo anche il premio di maggioranza, e quindi sulla cui base i suoi parlamentari sono stati eletti. Non c’era certo bisogno – tanto più dopo gli interventi della Fornero – di indebolire ancora la tutela dei lavoratori dai licenziamenti illegittimi (sottolineiamo che il provvedimento vuole proteggere non chi licenzia, ma chi lo fa illegittimamente, il che pare davvero troppo). Né era pensabile che si arrivasse a poter stabilire il demansionamento dei lavoratori per mere esigenze di riorganizzazione aziendale.

Ultima, ma non per ultima, la riforma della scuola. Non più la scuola di una comunità di studenti e di insegnanti, realmente “aperta a tutti” – come dice la Costituzione – e quindi strumento per superare le disuguaglianze, ma una “scuola del preside-manager”, con un occhio (o anche tutti e due) di riguardo per le scuole dei quartieri alti. Il rovesciamento, in  pratica, del disegno costituzionale.

Ecco, questo il quadro – che disegna nel merito un programma alternativo e partecipato, secondo l’impostazione di Possibile e i principi del Patto repubblicano – che potete chiarirvi ulteriormente guardando i quesiti qui. Sono quesiti che abbiamo elaborato con le nostre forze e il contributo di alcuni esperti, sempre con un lavoro artigiano e volontario, ma anche attento e generoso. Li mettiamo a disposizione di tutti, per una valutazione di merito, pronti ad accogliere i suggerimenti e le osservazioni che verranno.

Non abbiamo potuto iniziare prima perché attendevamo la riforma della scuola, come ci era stato da più parti chiesto e suggerito. Ma ora abbiamo pochi giorni. Questa settimana, infatti, dobbiamo presentarli in Corte di Cassazione per avviare il percorso. Il lungo e faticoso percorso che, chiudendo la raccolta delle 500.000 firme il 30 settembre, ci potrà portare a votare nella primavera 2016. Mancando questo obiettivo e questa tempistica i referendum rischiano seriamente di perdersi. Il voto nel 2017, che alcuni ci hanno prospettato anche con insistenza, che si renderebbe necessario se entro il 30 settembre le firme necessarie non fossero raccolte, sarebbe a forte rischio in caso di fine anticipata della legislature e in ogni caso farebbe sì che questi brutti provvedimenti dispiegassero e consolidassero i propri effetti sulla pelle dei cittadini. Quei cittadini che noi vogliamo si pronuncino direttamente su questioni mai sottoposte loro, in nessun programma elettorale (neppure di quelle primarie da cui – caso unico al mondo – è direttamente nato un governo, senza passare attraverso elezioni vere e proprie).

Attendiamo tutti i riscontri possibili. Siamo pronti a partire.

Giuseppe Civati, Andrea Pertici

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