Davide Serafin mi scrive, citando Paul Auster:

Non so se l’hai letto, ma quando sabato hai citato la questione delle parole, mi hai ricordato Città di Vetro di Auster. Più precisamente questo passo, che ho mandato a memoria anni fa. È un pezzo del discorso fra i due protagonisti, Quinn e Stillman:

[…] le nostre parole non corrispondono più al mondo. Quando le cose erano intere, credevamo che le nostre parole le sapessero esprimere. Poi a mano a mano quelle cose si sono spezzate, sono andate in schegge franando nel caos. Ma le nostre parole sono rimaste le medesime. Non si sono adattate alla nuova realtà. Pertanto, ogni volta che tentiamo di parlare di ciò che vediamo, parliamo falsamente, distorcendo l’oggetto che vorremmo rappresentare. Tutto si fa disordine. Ma le parole, come anche lei comprende, hanno la capacità di cambiare. Il problema è come dimostrarlo. Ecco perché io ora lavoro con i più semplici mezzi possibili… talmente semplici che anche un bambino può capire quel che dico. Consideri una parola che corrisponde a una cosa: «ombrello», per esempio. Quando pronuncio la parola «ombrello», lei nella sua mente vede l’oggetto. Vede una sorta di bastone con alla sommità dei raggi pieghevoli di metallo facenti da telaio a un tessuto impermeabile che, una volta aperto, proteggerà la sua persona dalla pioggia. Quest’ultimo dettaglio è importante: un ombrello non è solo una cosa, ma è una cosa che svolge una funzione… in altri termini, esprime la volontà dell’uomo. Se ci riflette un poco, ogni oggetto è analogo all’ombrello in quanto svolge una funzione. Una matita serve per scrivere, una scarpa per essere calzata, un’auto per esser guidata.

Ora, la mia domanda è questa. Cosa succede quando una cosa non svolge più la propria funzione? È sempre quella cosa, oppure diventa qualcos’altro? Se lei lacera la tela dell’ombrello, quest’ultimo è ancora un ombrello? Spiega i raggi, se li pone sopra la testa, esce sotto la pioggia e si bagna. È possibile persistere a chiamare questo oggetto ombrello? Generalmente, la gente fa così. Tutt’al più, arriveranno a dire che è un ombrello rotto. Per me, questo è un grave errore, fonte di tutti i nostri disagi. Giacché non può più svolgere la propria funzione, l’ombrello ha smesso di essere ombrello.

Può assomigliargli, può pure essere un ex ombrello, ma ora si è trasformato in un’altra cosa.

Tuttavia la parola è rimasta la stessa: perciò non rappresenta più la cosa. È imprecisa; è falsa; cela l’oggetto che dovrebbe svelare. E se noi non possiamo neppure nominare un oggetto comune, quotidiano, che teniamo nelle mani, come potremo sperare di discorrere delle cose che veramente ci riguardano? A meno che non cominciamo ad assimilare il concetto di cambiamento nelle parole d’uso, continueremo a essere perduti.

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