I commentatori più vicini hanno recentemente spiegato (molto polemicamente) a Enrico Letta che le riforme, legge elettorale compresa, che il Parlamento sta approvando (sotto il ricatto della fiducia) sono le stesse che i saggi avevano approntato due anni fa.

Andrea Pertici ricostruisce come sono andate le cose, partendo dall'intervista di Luciano Violante di oggi.

Luciano Violante, due volte saggio (di Giorgio Napolitano e di Enrico Letta), oggi molto critico sull’Italicum, nega che questo possa essere ricondotto alle proposte della Commissione di esperti sulle riforme costituzionali e elettorali istituita dal Governo Letta (e della quale, appunto, faceva parte)

Si tratta di una precisazione importante, considerata la tendenza imperante a non approfondire il merito delle questioni, anzi a non parlarne proprio, riducendo tutto a un mero slogan per cui “meglio fare qualche errore che non fare niente”, senza considerare l’ipotesi, anzi l’ambizione, di “fare bene”. E allora vale la pena riprendere i passaggi cardine della relazione finale della Commissione dei “saggi” sulla legge elettorale:

Anzitutto

Gli interventi hanno infatti sottolineato le relazioni che intercorrono tra forma di governo e sistema elettorale

Cosa che, invece, oggi si cerca di negare, procedendo a spron battuto sulla riforma elettorale e accantonando, con la promessa di generici cambiamenti (che visti i precedenti rassicurano assai poco), quella costituzionale e le connesse questioni della forma di governo (formalmente non toccata).

Subito dopo si precisa quindi che:

Per tali ragioni il dibattito si è prevalentemente concentrato sulla Camera dei deputati, perché si è dato per implicito (ma qualche intervento ha sottolineato espressamente il punto) che il Senato, non essendo titolare del rapporto fiduciario, dev’essere comunque eletto con sistema proporzionale puro, tanto in caso di elezione diretta quanto in caso di elezione indiretta.

Si precisano così due cose molto importanti: 1) il Senato può essere eletto a suffragio universale diretto anche se non vota la fiducia (cosa che negli ultimi mesi è stata spesso negata proprio sulla base di questo argomento, anche da alcuni tra gli stessi “saggi”); 2) il Senato sarà comprensibilmente eletto diversamente – e con un sistema proporzionale – quando non darà più la fiducia. L’Italicum, invece, prevede la sua applicazione alla sola Camera, lasciando il Senato eletto con il proporzionale del Consultellum quando ancora anche questo è titolare del rapporto di fiducia.

Ma è interessante arrivare più al cuore delle questioni, esaminate dalla Commissione partendo dalle esigenze cui il sistema elettorale dovrebbe rispondere (che risultano, in realtà, parziali, ma comunque condivisibili almeno come tali, fermo restando che le risposte a queste potevano essere anche altre):

La prima esigenza è la riduzione della frammentazione partitica. In questa direzione si muovono tanto un sistema proporzionale con rigorose clausole di sbarramento, del 5%, senza eccezioni, quanto un sistema come quello spagnolo che assegna i seggi in piccole circoscrizioni e non consente il recupero dei resti. Anche una legge come la cd. Mattarella, privata del cosiddetto scorporo, potrebbe ridurre la frammentazione.

Di queste tre ipotesi non se ne è seguita nessuna. Rifiutato – nonostante potesse avere più voti dell’Italicum – il Mattarellum, non è stato adottato nessun sistema simile allo spagnolo, precisandosi sin dall’articolo 1 (frutto nel noto “emendamento Esposito”) la ripartizione nazionale dei seggi, mentre le soglie sono state tenute al 3%…

La seconda esigenza riguarda la formazione della maggioranza di governo. Il regime parlamentare demanda la costruzione delle maggioranze alle intese tra i partiti presenti in Parlamento. Molti degli intervenuti, invece, hanno ritenuto che sarebbe più coerente con le esigenze della stabilità del governo fare in modo che siano gli elettori a scegliere direttamente la maggioranza, pur nella consapevolezza che nessun sistema tra quelli vigenti garantisce una certezza assoluta della formazione di una maggioranza di governo nelle urne.

Questa secondo modalità potrebbe essere quindi perseguita, sia “a Costituzione invariata”, sia modificando la forma di governo prevista nella Costituzione, ma questo presupporrebbe, appunto, una revisione costituzionale. In ogni caso, si precisa che non è possibile fare proprio quello che vorrebbe fare l’Italicum: garantire una certezza assoluta della formazione di una maggioranza di governo nelle urne. Questo può infatti avvenire distorcendo all’occorrenza anche completamente il risultato elettorale.

La terza esigenza è rappresentata dalla ricostruzione di un rapporto di fiducia e di responsabilità tra elettori ed eletti. È assolutamente prioritario restituire ai cittadini il diritto-dovere di individuare e scegliere i propri rappresentanti soprattutto nel luogo – la Camera dei Deputati – ove, secondo le indicazioni proposte dalla Commissione, si esplicita l’indirizzo politico e il rapporto fiduciario. I sostenitori del semipresidenzialismo hanno individuato nel doppio turno di collegio, con un filtro severo per la selezione delle liste ammesse al secondo turno, il sistema elettorale più coerente con l’elezione diretta del Presidente della Repubblica e più idoneo a costituire una solida maggioranza parlamentare. I sostenitori del sistema parlamentare razionalizzato, come anche coloro che accederebbero a questa soluzione pur essendo favorevoli in prima istanza a un sistema semipresidenziale, ritengono in buona sostanza, sulla scorta di quanto sostenuto nel documento presentato al Presidente Napolitano dal gruppo da lui costituito, che sono diversi i sistemi elettorali compatibili con quella proposta. Fra questi, ad esempio: il modello tedesco, quello spagnolo, la legge elettorale approvata nel 1993 (cd. legge Mattarella). Ad avviso di alcuni sarebbe compatibile con il sistema parlamentare razionalizzato anche il sistema maggioritario a doppio turno di collegio.

Come si vede molte sono le soluzioni possibili, anche in relazione alla forma di governo, appunto, ma nessuna assomiglia all’Italicum. In presenza di un parlamentarismo razionalizzato: c’è un sistema come il tedesco (misto maggioritario-proporzionale), spagnolo (proporzionale con piccoli collegi), o il Mattarellum, che abbiamo sempre sostenuto e che sembrerebbe godere di ampio consenso parlamentare.

A questo punto, la Commissione aggiunge una parte, di molto dubbia coerenza con quanto affermato in precedenza, alla quale si potrebbe collegare l’Italicum (salvo per le soglie di sbarramento e in qualche misura di premio):

Particolarmente coerente con l’ipotesi del Governo parlamentare del Primo Ministro appare un sistema elettorale di carattere proporzionale con clausola di sbarramento rigorosamente selettiva (5% dei voti ), con premio di maggioranza che porti al 55% dei seggi il partito o la coalizione vincente che abbia superato una determinata soglia. Secondo un’opinione manifestata da più componenti della Commissione, la soglia per guadagnare il premio di maggioranza dovrebbe aggirarsi attorno al 40% dei seggi. Secondo altri la soglia dovrebbe essere più elevata, sino ad arrivare al 50% dei seggi. Se al primo turno di votazione nessuna lista o coalizione di liste raggiunge la soglia per guadagnare il premio di maggioranza, si prevede un secondo turno di ballottaggio tra la prima e la seconda forza, attribuendo a quella vincente complessivamente il 55% dei seggi.

Ma questa ipotesi – che riteniamo comunque infausta perché in ultima analisi attribuisce decine e decine di parlamentari in più a chi prevale di un solo voto (a differenza del doppio turno di collegio che attribuisce a chi prevale di un voto un solo parlamentare) – è collegata al “Governo del Primo ministro”, che a nostro avviso è anche quello del tutto discutibile (e normalmente realizzato, comunque con il maggioritario), ma che in ogni caso non è stata introdotta dalla riforma costituzionale, rispetto alla quale si vuole anzi sempre sottolineare come non si tocchi la forma di governo (nonostante sia sempre più evidente come ciò accada solo formalmente). E, in ogni caso, la stessa Commissione mostra evidentemente un certo disagio rispetto a questa ipotesi, precisando subito che: 

Nella scelta occorrerebbe tener conto anche del rischio di accentuare eccessivamente la disproporzionalità tra seggi e voti, già insita nel premio di maggioranza, il cui peso è accentuato dal superamento del bicameralismo paritario.

A questo è poi da aggiungere la “riserva” espressa da due dei più autorevoli componenti della Commissione, Enzo Cheli e Valerio Onida, i quali precisarono:

Non concordiamo sulla tesi secondo cui il sistema elettorale dovrebbe assicurare che vi sia sempre e comunque uno e un solo partito (o gruppo o lista) vincitore unico delle elezioni, così che la maggioranza debba sempre e senz’altro risultare dalle elezioni. […] In ogni caso non concordiamo sulla configurazione del secondo turno “di coalizione”, con ballottaggio fra le due forze più votate al primo turno, come uno scontro essenzialmente personale fra i leaders delle due forze: concezione che si adatta bene alla logica della forma di governo prospettata come terza ipotesi fra semi-presidenzialismo e parlamentarismo, ma non alla logica del parlamentarismo razionalizzato.

Ma la maggiore contraddizione tra ciò che sta accadendo e ciò che la Commissione aveva suggerito sta proprio nelle modalità di approvazione della legge elettorale. In proposito, infatti, questa era la conclusione:

La Commissione ritiene che una legge così delicata come quella elettorale debba essere sottratta al capriccio o all’abuso delle maggioranze occasionali. Alcuni hanno perciò proposto che in Costituzione vengano fissati i princìpi essenziali del sistema elettorale. Altri, in maggioranza, hanno proposto di prevedere che le leggi elettorali siano approvate con leggi organiche.

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