La proposta di introduzione di un reddito minimo di sostegno a chi si trova in povertà non riesce a guadagnare sufficienti consensi politici per imporre una revisione delal spesa sociale a suo favore. Il governo Renzi non ha certamente il tema tra le sue priorità e non lo ha neppure messo in agenda […]. L’orientamento unicamente “lavoristico” è confermato anche dal modo in cui è stato definito il target dello “sconto fiscale” di ottanta euro mensili: i lavoratori dipendenti a salario modesto. Ciò ha prodotto una doppia limitazione grave, dal punto di vista del sostegno a chi si trova in povertà. In primo luogo, ha escluso tutti i lavoratori autonomi, a parità di reddito, ma anche, in quanto incapienti, pressoché tutti i lavoratori dipendenti ILO […]. In secondo luogo, trattandosi di una misura fiscale, è stato considerato il reddito da lavoro individuale e non il reddito su base famigliare [come con Boccia e altri avevamo chiesto che fosse nel corso del dbattito sulla legge di stabilità, nota mia].

Nel Documento di economia e finanza 2014 presentato il 15 aprile […] si dice che “soltanto il 9,5 per cento della spesa totale per il provvedimento viene erogato alle famiglie appartenenti al quinto di reddito più povero anche per effetto della presenza di incapienti nelle famiglie del quinto più povero. Più della metà viene erogato a individui in famiglie appartenenti al terzo e al quinto quinto, con redditi equivalenti medi e medio-alti. I beneficiari costituiscono il 39 per cento circa degli individui appartenenti ai due quinti più ricchi e solo il 12,3 per cento di quelli del quinto più povero“.

Chiara Saraceno, Il lavoro non basta. La povertà in Europa negli anni della crisi, Feltrinelli, Milano 2015, pp. 118-119.

In sintesi: la redistribuzione è tutta un’altra cosa.

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