Marco Damilano, oggi, su l’Espresso.

«Il patto è nella linea dei grandi compromessi politici che hanno fatto l’Italia unita», scrive il giornale di (ancora per poco) Giuliano Ferrara, a partire dal connubio Cavour-Rattazzi di metà Ottocento per finire al voto favorevole di Palmiro Togliatti all’articolo 7 sul Concordato con il Vaticano nella Costituzione. Il guaio è che raramente nella storia unitaria il compromesso ha avuto un obiettivo alto: a parte la Costituente, il centrismo di De Gasperi e i primi governi di centro-sinistra negli anni Sessanta con Moro, Fanfani, Nenni, Antonio Giolitti, la creazione di un corpaccione centrale, l’indistinta Area di governo, è sempre stato il male di cui ha sofferto la politica italiana. Mancanza di alternativa, compromesso al basso, inamovibilità delle classi dirigenti, eternità di chi stava al potere, indifferenza ai principi e alle regole…

Renzi ha conquistato il potere promettendo di chiudere per sempre con questi vizi storici. Ma l’Italicum è un’ottima legge elettorale se funziona in un sistema bipolare, in cui competono almeno due schieramenti per vincere il governo del Paese. Se invece il premio di maggioranza lo può prendere uno solo, il Patto, e tutti gli altri le briciole, si trasforma nel suo opposto. La blindatura di un Nuovo Sistema.

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