La lista di «consigli non richiesti» che Marco Travaglio avanza oggi in prima pagina sul Fatto ci dice almeno tre cose: che la questione è arcinota e che i testi, volendo, ci sono già; che abbiamo già buttato via due anni o quasi in questa legislatura e che le cose da fare sono parecchie e prioritarie rispetto a molte altre.

In neretto quelle che ritengo più urgenti:

I 5Stelle pubblicano una divertente (si fa per dire) cronologia di tutte le volte in cui Renzi ha stoppato le norme anti-corruzione in Parlamento. Il 13 maggio il M5S fa votare dal Senato la discussione urgente delle sue proposte, che prevedono pene più alte e prescrizione più lunga. Il 27 maggio Grasso dichiara in aula che l’esame delle varie proposte di legge sul tema inizierà il 10 giugno. Ma a quel punto il premier, per salvare il Nazareno, annuncia che ci penserà il governo con un decreto, e le mazzette passano in cavalleria dinanzi alla decisiva urgenza di sfasciare la Costituzione. Il 12 giugno e il 7 agosto i pentastellati incontrano il ministro Orlando per chiedere di discutere subito le norme pronte in Parlamento. Nisba. Per mesi il fronte Pd-Lega-Ncd-FI vota no (con la sola eccezione dell’isolatissimo capogruppo pd in commissione Giustizia, Felice Casson). Tutto vero. Com’è vero che solo quand’è saltato il cupolone di Mafia Capitale il premier s’è deciso ad annunciare (per oggi, forse) il ddl anti-corruzione.

Ma l’emergenza è talmente drammatica che bisogna cogliere l’attimo e seguire Mao: “Non m’importa se il gatto è nero o bianco, purché acchiappi i topi”. Renzi va preso in parola e, se quello che uscirà oggi dal Cdm sarà un buon testo e servirà davvero ad aumentare le pene e ad allungare la prescrizione, va votato subito. Poi però bisogna insistere: l’inquinamento dei partiti e della pubblica amministrazione è così tentacolare e antieconomico che occorre ben altro, subito dopo. 1) Uno degli scandali emersi dalla fogna romana è quello delle municipalizzate: in Italia le società pubbliche o miste sono 7800 (e in continuo aumento), con 19mila consiglieri di amministrazione e 300mila addetti; per un terzo hanno i bilanci in rosso e ci costano 15 miliardi l’anno. Oltre a disboscare il carrozzone riducendo sigle e posti inutili, è troppo chiedere che gli amministratori vengano scelti per merito e curriculum, con concorsi nazionali a evidenza pubblica, e non fra i soliti compari dei politici? 2) Un’altra cloaca è quella delle fondazioni: ogni leader o leaderino ne ha una. Raccolgono soldi da chicchessia e, quando si chiede di conoscere i finanziatori, la risposta è “no, c’è la privacy”. La stessa risposta che riceviamo da giorni alla domanda su chi ha partecipato alle cene pro Pd organizzate da Renzi (compresa quella romana con Buzzi & C.) e quanto ha versato. Ogni euro che va a politici o a partiti, direttamente o tramite fondazioni e altri marchingegni , dev’essere tracciabile e cristallino: se davvero la legge sulla privacy lo vieta, la si cambi e si dia trasparenza a questi buchi neri chiamati fondazioni. Può capitare di ricevere soldi da qualcuno che poi si scopre un delinquente: nel qual caso bisogna saperlo e restituire il maltolto. 3) Anche a questo dovrebbe servire la legge sul conflitto d’interessi, attesa da 20 anni: a impedire che chi lavora per la pubblica amministrazione finanzi politici che poi, una volta eletti, si sdebiteranno con appalti, incarichi e consulenze. Questi non sono finanziamenti privati, sono tangenti preventive. 4) Raddoppiare le pene di tutti i reati dei colletti bianchi, compreso l’illecito finanziamento ai partiti (e ripristinando finalmente il falso in bilancio), è essenziale per consentire le intercettazioni e la custodia cautelare, oggi precluse quando la pena è fino a 3 anni. 5) La corruzione privata, istituita dalla legge Severino con sanzioni ridicole (niente intercettazioni e custodia cautelare, prescrizione assicurata), va equiparata a quella pubblica, sia per le pene, sia per la procedibilità d’ufficio (e non a querela): altrimenti la fanno sostanzialmente franca tutti i trafficoni delle società municipalizzate e partecipate dallo Stato che, avendo la forma giuridica di Spa, non ricadono nella corruzione pubblica. Tutto ciò, si capisce, se si vuol fare sul serio contro la corruzione. Se invece si pensa, come il presidente della Repubblica, che la “patologia eversiva” che si mangia il Paese e corrode la democrazia sia l’“antipolitica”, cioè la critica radicale a questo sistema marcio, si lasci tutto com’è. E si prepari a pie’ fermo il terzo mandato di Giorgio Napolitano.

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