Mi scrive Elly Schlein, commentando la chiusura della campagna elettorale in Emilia-Romagna e la lettera del premier di ieri su Repubblica.

C’ero anche io l’altra sera al Paladozza, ed ho ascoltato quel passaggio che Renzi definisce il più sentito del suo intervento, «non hanno manifestato contro la Fornero e oggi manifestano contro di noi». Ed è vero che su queste parole si è alzato un boato, solo che insieme a quel boato in altra parte della stessa platea si è alzato un forte e diffuso disagio. Non solo di coloro che in tasca oltre alla tessera del Pd hanno quella del sindacato, ma anche di tanti che come me non ce l’hanno mai avuta, eppure condividono le preoccupazioni sul Jobs Act. Di tanti, tra cui persino alcuni dei candidati presenti, che a quelle manifestazioni hanno partecipato. E di tanti che non condividono i toni accesi ed esasperati con cui questo dibattito viene portato avanti.

Questa continua polarizzazione tra vecchio e nuovo, tra buoni e cattivi, conservatori ed innovatori. È certamente più facile dividere il mondo in due, e però si perdono le sfumature, si perdono tante sensibilità che sfuggono a maglie così strette. E se davvero, come scrive il segretario, «nel Pd hanno tutti cittadinanza alla pari», speriamo che insieme al boato l’altra sera abbia sentito anche questo disagio. Che non gli sia sfuggito che in piazza San Giovanni non c’erano solo sindacati e pensionati, ma moltissime persone in difficoltà, molti nostri iscritti ed elettori (qualche coraggioso addirittura con la bandiera), e pure tanti giovani della mia generazione sfortunata, che è cresciuta interiorizzando la precarietà ma che non vi si vuole rassegnare. Più che dei rischi di scissione nel gruppo dirigente, che appassionano i giornali, mi preoccuperei di queste scissioni silenziose, che sono già in atto.

E forse di Berlinguer e Dossetti, Langer e Gandhi, più che le citazioni bisognerebbe riscoprire il modo – gentile e fermo, mai urlato – con cui hanno portato avanti battaglie epocali. Con grande capacità di ascolto. Perché siamo tutti d’accordo che il tema sia di estendere finalmente le tutele a chi non le ha mai avute, ma non si vede perché mai per fare questo bisogna indebolirle a tutti. Se il JobsAct è «la riforma più di sinistra che si sia mai vista», spero che il segretario trovi il tempo di scrivere una lettera anche a Sacconi per chiedergli perché lo definisce il suo sogno che si realizza. E se davvero «stiamo dalla parte dei più deboli», gli scriva anche che è venuto il momento di dare a questo paese una forma di reddito minimo per chi è sempre più povero.

È vero che ci sono due modi per cambiare l’Italia: si può cambiare in meglio o cambiare in peggio. E in tanti vorremmo dare il nostro contributo per assicurare che si cambi in meglio, con riforme migliori.

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