Così rispondo alla domanda posta da Bin, oggi, nel convegno a cui parteciperò. Non si farà perché la legge di stabilità, nel rinnovare gli 80 euro per chi lavora, facendo debito e bloccando quasi 10 miliardi, senza la possibilità che questi 80 euro siano estesi ad altri (come era stato promesso, peraltro), lo ha già deciso.

La stessa parola povertà sembra scomparsa dalla proposta del governo, che ha inteso superare la sperimentazione che il governo Letta aveva avviato.

E la copertura degli ammortizzatori sociali non è affatto universale, nonostante la retorica governativa lo faccia credere (togliamo diritti ma ci mettiamo più soldi, in sintesi), perché le risorse mobilitate sono largamente insufficienti e in tutto simili a quanto destinato allo stesso obiettivo negli anni precedenti.

Si dice che il posto fisso non c’è più, che l’articolo 18 non serve a nulla (che se poi non servisse a nulla, allora perché farne una battaglia?), che bisogna contrapporre chi è garantito (l’aggettivo è curiosamente lo stesso del reddito di cui stiamo parlando) a chi non lo è, ma poi non si è conseguenti e non si dà copertura a chi per definizione non ha un posto fisso, non ha la solidità per progettare alcunché, non ha la possibilità di entrare nella partita del lavoro. Non è garantito.

Non credo che la legislatura arriverà fino al 2018, ma se arrivasse al suo termine ‘naturale’, il reddito minimo fino ad allora non si farà. E altre misure – come quella del bonus bebè – sono in contrasto con la sua introduzione, perché non collegano il reddito a una strategia di servizi a cui si possa accedere proprio in considerazione delle condizioni di partenza (essendo inteso il reddito, nei paesi avanzati, non solo in termini esclusivamente monetari).

Niente da fare, quindi. Se non una campagna continua, che attraversi la società italiana, per spiegare che soltanto se faremo l’Rmg, come in tutta Europa, riusciremo a dare speranza a chi non ne ha più. A chi perde il lavoro ma anche a chi lo cerca (anche perché cercare il lavoro è diventato il principale lavoro di molti italiani). A chi non può garantire a se stesso e alla propria famiglia una vita dignitosa.

P.S.: agli 80 euro preferisco da sempre una rimodulazione delle aliquote in senso più progressivo: in Parlamento ci sono proposte in questo senso, che provengono anche dalla maggioranza (e dal Pd). Si potrebbe intervenire per spostarle verso l’alto, soprattutto in una situazione di emergenza come questa, riprendendo il senso dell’articolo 53 della Costituzione. E liberare risorse per la povertà, che in Italia sarebbe più corretto chiamare miseria.

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