Ringrazio Luisella Costamagna per il bell’articolo che mi dedica sul Fatto.

C’è solo una cosa che non mi appartiene ed è il risentimento personale collegato alla rottamazione che avrei subito: mi dispiace, ma io me ne sono semplicemente andato, dal giro dell’attuale premier, molto presto, quasi subito, e per ragioni che ora si ritrovano nel patto del Nazareno e nel rapporto privilegiato con i poteri forti, a cominciare da Marchionne. Era il 2010 e le cose non sono poi cambiate molto. Anzi.

Poi mi sono candidato alle primarie e per me è stata l’esperienza più bella e, nonostante lo scarsissimo spazio dedicatomi (anche dal giornale per la quale scrive), è stato per me (anzi, per noi, perché eravamo un collettivo, che siamo ancora), motivo di successo e di maturazione politica.

Il punto è che lei mi richiama al «coraggio», canzonandomi e citando uno dei miei autori preferiti, Giordano Bruno, e il mitico rogo. Dice che non rischio granché. Meno male, perché di questi tempi non si sa mai.

Dice che dovrei lasciare il Pd, perché così si è succubi, nonostante prove di lealtà verso gli elettori, che ti fanno diventare, al contempo, odioso a tutti i colleghi: non votare Napolitano, non votare il governo Letta, accettare – proprio per non lasciare il Pd, come ho spiegato tipo un milione di volte – di votare una fiducia a un governo che non mi piace, distinguendosi sulle questioni costituzionali ed elettorali, assumendo posizioni critiche e documentate nelle sedi del partito a cui sono stato eletto.

Ora, capisco l’argomento: uscire, mollare tutto, andare nel gruppo misto a titolo personale, costruire la lista Tsivati.

Sa quanti me lo chiedono: che cavolo ci fai nel Pd? Vieni via? Facciamo una cosa nuova.

Solo che la mia posizione politica è un po’ più politica (appunto) della sua: la mia idea, rispetto alla quale nonostante le sue ironie sono fedelissimo, è di ricostruire il centrosinistra. Di farlo nel Pd, con Sel e con tutti quelli che vogliono cambiare, costruendo una proposta che riesca ad andare al governo (come sa il M5s ha rifiutato questo schema nella primavera del 2013, dopo le elezioni, in modo simmetrico al resto del Pd, e non pare intenzionato a cambiare strategia). Lo avevo chiamato, per parodiare l’Ncd, nuovo centro sinistra. L’idea di staccarmi per fare da solo, per me, sa di personalismo e di velleità. E non credo darebbe alcun frutto.

Certo, lo so bene: potrei esservi costretto e costretto a tradire il mio convincimento: gli ultimi colpi, sul lavoro e sullo sviluppo (e anche sulla legge di stabilità, nonostante molti ne stiano parlando a vanvera), non aiutano. E dimostrano che il Pd sta imboccando definitivamente, con il contributo di Renzi e però anche di molti altri (quasi tutti, anche i suoi storici avversari), una strada diversa. Come può pensare che non me ne sia reso conto?

E, una domanda gliela faccio anche io, che cosa ci guadagnerei a stare in un partito a cui sto sul ‘rogo’ a un sacco di gente e in cui non ho alcun incarico di governo, per mia scelta, oltretutto, oltre che per scelta di qualcun altro che ha in mente un progetto politico molto diverso dal mio?

Le ripeto, quindi, a costo di sembrarle uno sfigato che non si decide (come pensano anche molti dei miei commentatori), che la sua idea non è la mia opzione. E penso sia più «coraggioso» esporsi al dileggio e alla provocazione ormai quotidiana per affermare un’idea in cui si crede, piuttosto che lasciarsi andare ad atti emotivi e non sufficientemente meditati. E non sto parlando per me, ma per il progetto politico che le ho descritto, che vorrei coinvolgesse altre persone. Per governare il Paese in modo diverso, con una sinistra repubblicana, laica, rigorosa, trasparente e coerente.

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