Gianni Principe interviene, come sempre molto a proposito, sulla questione lavoro, che dovrebbe essere una priorità anche nel senso che dovrebbe arrivare prima di altre (e non dopo). Tra l’altro:

Ciò che ci si deve domandare è se esiste una visione condivisa della riforma in seno alla maggioranza. Un’interpretazione su cui il governo possa attestarsi, tale cioè da godere dell’appoggio della maggioranza parlamentare che lo sostiene così da poter contare su una sua approvazione spedita.

Se si vuole fare un’operazione di chiarezza occorre partire da qui. Questa è la condizione preliminare che non è affatto data. Così la riforma, per quanto importante in assoluto, finisce per essere misurata in base alle conseguenze che, scegliendo in un verso o nell’altro, si possono determinare sulla tenuta della maggioranza.

È evidente che questa banale verità può essere molto scomoda quando si deve avallare l’idea che si procederà speditamente sulla strada delle riforme. È per questo che si sta tentando di dare a credere che un’intesa sia possibile, attraverso un’operazione sistematica di rimozione dello scontro politico che ha segnato gli anni dal 1999 ad oggi: intendo, dal momento in cui la destra si è messa all’opera per costruire un’ipotesi di riforma alternativa a quella fin lì elaborata dal centro-sinistra e poi, vinte le elezioni nel 2001, per realizzarla in Parlamento. Come se fosse roba del passato, da archiviare. Come se si fosse celebrata solo una stanca, rituale dialettica parlamentare su bandierine ideologiche e non uno confronto aspro su uno dei capisaldi di qualsiasi programma politico. Come se non fosse, ancora e in modo sempre più incombente, il vero nodo da sciogliere per uscire dal gorgo della crisi…

Non è la destra che fa la destra a dover preoccupare. È il serpeggiare di questi sentimenti nella sinistra che getta un’ombra sul futuro. Non è ammissibile che esponenti di primo piano del Pd, per sminuire l’importanza e l’urgenza della riforma del lavoro, si rifugino nel ritornello che non è da quella che nascono posti di lavoro ma dalla voglia degli imprenditori di investire. Come se fosse la stessa cosa investire sulla borsa, sui prodotti finanziari, o sul lavoro; in Italia o all’estero; su una postazione di call center, sull’infilare volantini sotto i tergicristalli, ovvero sul progetto di un prototipo di robot per una sala operatoria. Di questo si tratta, con la riforma del lavoro. Di scegliere se imboccare un’altra strada e investire sul valore del lavoro anziché sul suo impoverimento.

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