Il Presidente Grasso che tra qualche tempo sarà sostituito da un consigliere regionale o da un sindaco (il sindaco d’Italia?) ha rilasciato un’intervista a Repubblica, in cui rivendica la correttezza della propria conduzione del dibattito sulle riforme, come noto, in realtà, oggetto di molte critiche, soprattutto sul contingentamento (la cui responsabilità però – come egli stesso sottolinea – è soprattutto dei capigruppo) e sui voti segreti (negati, in effetti, in troppe occasioni, regolamento alla mano), ma mostra, in fondo, una certa insoddisfazione per come si sono svolti i lavori e per il loro risultato.

Il Presidente, in particolare, riconosce che è mancato quel metodo costituzionale che avevamo anche da ultimo invitato a recuperare, quando afferma che «indubbiamente il muro contro muro ha squalificato la qualità del dibattito». E, pur affermando che «il testo è stato arricchito» (poco e male, secondo quanto risulta dai testi a fronte che mostrano in particolare come l’aula, trasformata in mero votificio, abbia cambiato un limitatissimo numero di articoli rendendo solo il testo più incoerente), ritiene che sia necessario un re-intervento della Camera dei deputati per migliorare l’articolato.

Lo stesso avevano già detto, del resto, anche il Presidente del Consiglio dei ministri e il relatore Calderoli.

Siamo certamente in molti a essere d’accordo che la Camera debba cambiare molti punti essenziali di questa riforma, molto pasticciata e lontana dai cittadini.

Mi chiedo perché, però, si continuino ad approvare riforme (come questa e quella della legge elettorale, anzitutto, ma anche, ad esempio, quella della responsabilità civile dei magistrati) che subito appaiono piene di falle perché tanto l’altra Camera le correggerà.

Si tratta di una impostazione che va contro la logica, che vorrebbe riforme approvate subito bene (magari un po’ meno in fretta, ma bene), anche per evitare di doverle lasciare mesi in un cassetto in attesa di accordi segreti fuori dal parlamento (come sta accadendo per l’Italicum); ma soprattutto risulta assai singolare, basandosi su un uso essenziale del bicameralismo, proprio mentre si dice di voler ridurre i poteri della seconda camera (che si vorrebbe trasformare in una cameretta di eletti dagli eletti tra gli eletti).

In tempi di superamento del bicameralismo perfetto si approvano leggi e addirittura riforme largamente imperfette nella speranza che proprio il secondo passaggio parlamentare le emendi, corregga, integri. Solo a me sembra strano tutto questo?

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