Ci battevamo per i collegi uninominali e per la libera scelta degli elettori. E per governi che fossero gli elettori a scegliere. Ci dichiaravamo campioni della trasparenza. Della necessità di una legge sul conflitto d’interessi. Inorridivamo per le leggi ad personam (e ad personas, perché poi le hanno fatte plurime). Chiedevamo la democrazia dal basso, la rappresentanza, la leggibilità delle decisioni politiche.

Quando eravamo giovani, volevamo scelte nette, pulite, chiare. Prendevamo le distanze da tutti gli inciucisti, veri o presunti (perché a volte era quasi un vezzo, quello dell’inciucio). Rileggevamo Foucault e quella cosa del dire-il-vero e del parresiasta e ci vantavamo dello stile da non perdere, di non dire le bugie, di non fare facile propaganda.

Non ci piaceva la strumentalità, l’azzardo, la furbizia, ci piaceva essere così, a costo di passare per pirla. Chiedevamo un rinnovamento profondo, non solo a parole, delle strutture stesse della politica e della società.

Non ci bastavano i giri di parole (tipo: unioni civili alla tedesca invece di matrimoni egualitari), ci piaceva sondare campi quasi inesplorati (tipo: legalizzazione delle droghe leggere), chiedevamo alla politica di battersi ferocemente contro l’illegalità, la mafia, le clientele, i mamozi, i mammasantissima, i paradisifiscali, i falsiinbilancio, le volgarità del potere.

Diffidavamo dei centristi che in realtà erano destri, chiedevamo scelte di progresso, pensavamo che tutto dovesse essere sostenuto dal consenso informato dei cittadini.

Ora, non lo so, ma forse qualcuno è invecchiato precocemente, anzi, in modo rivoluzionario. O, forse, più probabilmente, è invecchiato, in modo (contro)rivoluzionario, tutto quello che leggete qui sopra.

Che per me è l’unica cosa che conta, invece.

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