Sul Senato (non ne parlavo da un po’), con alcuni amici e colleghi parlamentari, ho piantato un solo paletto: quello della possibilità per i cittadini di scegliersi i senatori. E questo per un motivo molto semplice: ci tengo che siano gli elettori a scegliere gli eletti.

È una questione di partecipazione dei cittadini alla vita politica. È un problema che ho posto più volte soprattutto negli ultimi mesi e che mi pare si ponga con ancora più forza a seguito di queste elezioni europee, che fanno registrare un grande successo, cui ho partecipato con gioia, quello del Pd ma anche un grande fallimento – che è invece di tutti gli attori politici – la più forte astensione di sempre in una elezione a carattere nazionale. Ha votato, infatti, soltanto il 58,69%. Un dato che non sembra interessare praticamente a nessuno.

Ora, proprio per questo, soprattutto negli ultimi mesi, mi sto occupando in particolare di partecipazione. Lo faccio, appunto, cercando di evitare che i senatori siano scelti soltanto da chi ha una carica politica e tra chi ha già un’altra carica politica, consentendo la scelta a tutti i cittadini, garantendo comunque una migliore efficienza del Parlamento e abbassando anche di più il costo delle Camere. Lo faccio chiedendo una legge elettorale che restituisca ai cittadini davvero la possibilità di scegliere chi li rappresenta (non a caso mi sono impegnato per il ritorno del Mattarellum nella versione prevista per il Senato, ho votato contro le liste bloccate – più o meno lunghe – e ho sempre chiesto – e spesso ottenuto, almeno nel mio partito – le primarie).

Lo farò ancora più fortemente proponendo una riforma delle forme di partecipazione diretta previste nella Costituzione e aggiungendone di nuove, perché i cittadini siano più consapevoli, più coinvolti, semplicemente più partecipi della cosa comune, appunto. Anche grazie ad un ritrovato ruolo – e questa è la sfida più difficile – dei partiti, strumenti attraverso i quali i cittadini concorrono a determinare la politica nazionale, come ci dice l’articolo 49 della Costituzione.

Ecco, in questo quadro come possiamo accettare che le nostre leggi siano approvate anziché da rappresentanti eletti dal popolo a questo scopo da un centinaio di amministratori locali che i cittadini avevano scelto perché si dedicassero (a tempo pieno) all’amministrazione delle loro città?

Per questo, con Vannino Chiti, Walter Tocci e molti altri senatori dalla più diversa appartenenza politica, ho sostenuto, sin da quando si parla di riforma del bicameralismo – e da prima che il Governo presentasse una propria proposta – che il Senato deve rimanere (se rimane) elettivo. Per questo l’idea di un Senato di amministratori locali che entrano di diritto o si nominano tra loro non mi piace. In questo senso e soprattutto su questo punto, quindi, ero e rimango contrario alla proposta del Governo.

L’ipotesi emendativa che gli organi di stampa diffondono come di iniziativa dei senatori Marcucci e altri senatori vicinissimi al premier non incide realmente su questo punto: infatti, sono sempre (e anzi ancora di più) gli amministratori locali a scegliersi tra loro per una corsa in Senato.

La proposta può somigliare un po’ al modello francese, ma – a parte il fatto che non risulta un modello particolarmente apprezzato – se ne distingue perché nell’originale gli eleggibili sono tutti i cittadini francesi che abbiano compiuto una certa età, mentre in Italia si vorrebbe limitare la platea agli amministratori stessi.

Se si vogliono trovare mediazioni reali – e non al ribasso, in passato ne abbiamo già individuate: tra queste, ad esempio, quella di un Senato elettivo, ma con una componente di consiglieri regionali volta ad assicurare un coordinamento della legislazione statale e regionale. Questo ho proposto, da prima che il Governo presentasse la sua proposta, nella mia presentata alla Camera (A.C. 2227).

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