Ecco, forse siamo arrivati al punto: perché lo spettacolo di ieri, e di stamattina, e le mani in faccia, e le squallide accuse rivolte alle donne (chissà perché l'aggressività finisce sempre in sessismo, machismo e misoginia: forse perché sono la stessa cosa?), le giacche strattonate, le commissioni occupate, i blitz e i contro-blitz sono indegni, da qualunque parte politica provengano.

Ho già chiesto ai miei colleghi di fermarsi a riflettere, sto raccogliendo le firme per un appello rivolto al premier e al segretario del Pd per la riduzione dei decreti alle sole occasioni in cui l'urgenza è prevista, con la precisazione di non presentare più testi pasticciati (lo slogan è: mai più omnibus), credo che vi siano responsabilità da parte della maggioranza, ma vedere un'aula in cui tutti si danno del fascista mette una tristezza infinita (anche perché poi gli unici che festeggiano sono i Fratelli d'Italia, e non è una battuta: per alcuni, il termine è un complimento).

Le responsabilità politiche sono di tutti: c'è chi rappresenta otto milioni, chi otto e mezzo, chi quasi nove, ma tutti rappresentiamo il Paese. Ciò rappresentiamo i nostri elettori, ma anche gli altri, e tutti insieme tutti quanti.

Ecco, vorrei che oggi, all'apertura dei lavori, prima di tutti gli ostruzionismi e le polemiche, invece di insultarci, leggessimo insieme le prime parole dell'articolo 67 della Costituzione, quello che più da vicino ci riguarda:

Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione.

E lo tenessimo a mente, mentre il Paese affonda e i bambini ci guardano. A cominciare da quelli che il Parlamento lo vengono a visitare, e che sono già qui, in Transatlantico. E non seguono le polemiche, no, seguono la loro professoressa. E un'idea di Nazione, appunto.

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