Dall'introduzione di Rossana Rossanda, a proposito delle interviste raccolte nel volume Quando si pensava in grande, Einaudi:

Gli interrogati sono tutti uomini, come se non avessi incontrato nessuna donna coinvolta nella politica «classica» del Novecento. Dico «classica» perché i personaggi femminili piú impegnati che ho avuto la fortuna di conoscere lavoravano su quella questione fondamentale che poteri, storia e diritto hanno sempre tenuto sottotraccia, cioè il rapporto e conflitto di genere che percorre tutta la vicenda umana. In tutte le civiltà il sesso femminile, metà della specie umana, è stato escluso dalla formazione dei codici, e le donne che ne hanno preso coscienza e hanno protestato erano singole e isolate, e tali sono rimaste fino all’ultimo trentennio del Novecento. Soltanto allora le donne, e soltanto in Occidente, hanno preso la parola, ed è avvenuto che abbiano delineato un’altra cornice del «politico». Altra radicalmente, su altri parametri, che non si sono aggiunti a quelli «classici», raramente li incrociano, spesso neppure li dichiarano estinti: esse ne restano estranee e come distanti. Modo di produzione, riforme o rivoluzione, democrazia o fascismi – per non citare che alcune grandissime questioni del Novecento. Le donne le hanno attraversate, spesso vi hanno messo la vita, ma non le hanno ripensate malgrado che al pensiero femminile appaia una non storia quella che tiene conto solamente del dominio di uno dei due sessi. Escluse per secoli dalla res publica, non ne hanno rielaborato i dilemmi, li guardano a distanza, ne diffidano.

Hanno diffidato anche di me, assolutamente coinvolta nelle priorità del «politico» classico, approdata tardi alla coscienza di «essere donna» e rimasta perlopiú separata dall’elaborazione delle mie sorelle di sesso. Quanto a uomini che si siano interessati non occasionalmente di che cosa abbia significato l’aver escluso uno dei due sessi dalla costruzione dei fondamenti della res publica, ne ho incontrati di rado; tutti ormai rendono formalmente omaggio alle questioni di genere ma raramente vi ragionano aprendo degli squarci decisivi nella lettura della storia e del presente. Nel venticinquesimo anniversario del voto alle donne in Italia, avevo titolato Repubblica: sostantivo maschile un documentario che la Rai mi aveva commissionato (e, credo, non ebbe alcun effetto né fra le donne né fra gli uomini). Ripeterei quel titolo anche ora, quando la presenza femminile nei luoghi della democrazia rappresentativa è numericamente assai cresciuta. Dentro di essi le donne sono perfettamente in grado di lavorare, magari di diventare capi di stato, ma una elaborazione teorica autonoma del problema avviene, quando avviene, fuori di essi.

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