Non ho voluto drammatizzare, ieri, ma ci sono molte cose che non vanno bene in quello che stiamo facendo. Perché chiedevo una via d’uscita, e abbiamo invece optato per la porta di ingresso verso qualcosa che sento molto lontano da quello che mi rappresenta (e che cerco di rappresentare), ma anche dell’idea che ho del Pd e della sinistra italiana.

Ieri è stata una giornata particolare e tutti abbiamo salutato con favore che si sia consumata la divisione, poi ricomposta in qualche maniera, del Pdl. Un fatto politico nuovo, di grande significato, che andava però interpretato. Ad esempio, ricomponendo l’alleanza con cui ci eravamo presentati alle elezioni (a Sel non è stato dato motivo di rientrare, diciamo così, perché ci si è rivolti esclusivamente dall’altra parte), segnando una discontinuità rispetto ai mesi precedenti (tipo su Imu, Iva e quelle altre questioni che hanno riempito il nostro dibattito per mesi), rivedendo gli obiettivi e i tempi di un governo che invece è rimasto lo stesso. In tutto e per tutto.

Ma solo un punto fu quel che, soprattutto, mi vinse. Le parole del premier per cui finalmente si è celebrata, con la fiducia di ieri, una maggioranza politica coesa. Anzi, così: maggioranza. Politica. Coesa.

Ecco, a me pare un azzardo, ed è il secondo in pochi mesi. Perché la maggioranza politica coesa è proprio quello che non andava e non va fatto. E mi sorprende che tutti quelli – a cominciare dal segretario nazionale del Pd e da un candidato alla segreteria del Pd per il futuro – che dicevano: “si facciano due cose, la legge elettorale e la legge di stabilità e poi si torni a votare”, “No a governicchi” e “no ai transfughi” (che secondo me era fin eccessivo dire così, come ho cercato di spiegare), oggi teorizzino e dichiarino il contrario. Prospettando un percorso che contempla la modifica della Costituzione (ancora, anche se le intese sono più strette) e il superamento del semestre europeo fino al 2015 e, forse, oltre.

Mi pare che ci allontaniamo sempre di più dai nostri elettori e che stiamo ridisegnando il sistema politico italiano non con libere elezioni, ma con operazioni di Palazzo. Raffinate e vincenti (per ora), ma non certo rassicuranti per il futuro. Che il Pd come partito dell’alternanza vada, lentamente (mi verrebbe da dire, lettamente, ma non voglio sembrare irriguardoso), a scomparire.

Vedo ad esempio il protagonismo di Formigoni, ascolto le parole di Cicchitto (che sulla giustizia ribadisce tutta la propria solidarietà a Berlusconi e a quello che noi definiamo disegno eversivo), assisto a un conteggio che poi non si è potuto fare, ma che avrebbe dato un margine numerico molto limitato al governo in carica.

E le domande sono quelle di sempre e se possibile ieri se ne sono aggiunte altre. Come scrive Paolo:

E’ legittimo, per Civati, insistere nel dire che questa operazione, pur dettata da necessità, è innaturale, che va limitata nel tempo, nel peso politico, nei compiti, e che a marzo si deve tornare a votare? O sarà inclusa un’apposita clausola nel regolamento? E’ legittimo che chi vota Matteo Renzi lo faccia perché vuole vincere le elezioni con lui candidato premier, e insomma non è che gli vada proprio a genio aspettare fino al 2018? E’ legittimo, nelle mozioni congressuali, scrivere – per limitarci a un singolo esempio, ma molti potrebbero essercene – che levare le tasse sul patrimonio è una fesseria, che bisogna levarle sul lavoro; e sarà legittimo pretendere che quelle idee, se dovessero vincere il congresso, non restino solo parole ma siano applicate al Governo, con coerenza, anche a costo di metterne in pericolo la tenuta? E’ legittimo preoccuparsi di un governo che – Berlusconi a prescindere – potrebbe fare da anticamera a un nuovo e diverso e definitivo posizionamento del nostro partito? E’ legittimo chiedere che quantomeno prima se ne possa discutere con calma, già che ci siamo proprio durante il congresso, e non solo a Montecitorio?

Mi chiedo se a sinistra qualcuno voglia partecipare a questa discussione e a questa battaglia. Se i tanti che si sono espressi in questi mesi per un profondo rinnovamento delle strutture della politica, abbiano qualcosa da dire. E se quelli che hanno a cuore la rappresentanza e la democrazia (sospesa, ancora per un po’, nella dialettica elettorale rinviata sine die), non vogliano farsi sentire.

Per me, è di questo che si tratta. E il Congresso del Pd ha questo come principale obiettivo. Se lo vogliamo capire.

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