Se qualcuno un giorno scriverà la storia del Pd il primo capitolo potrebbe aprirsi con questa domanda: è vero che la nascita di un partito ha fatto cadere un governo? È un interrogativo che ci facciamo da tempo. Dopo che con Veltroni segretario scrivemmo uno Statuto in cui il nostro segretario era anche candidato premier della coalizione e poi con la vocazione maggioritaria cominciarono le fibrillazioni nell’alleanza che sosteneva Prodi, Prodi cadde e Berlusconi governò per alcuni anni ancora. Ma ora non vorrei che l’ultimo capitolo di questa ipotetica storia del Pd si aprisse con un altra domanda: è possibile che un governo di necessità abbia fatto finire un partito? Pongo questo interrogativo con speranza, anche perché nella relazione di Epifani ho trovato la distinzione tra ruolo del governo e ruolo del partito.

Qui non c’è nessuno che mette a rischio il futuro del governo: governo di servizio, di necessità, senza alternativa che vogliamo sostenere, in una fase di transizione. Ma come ha detto Epifani, il Pd non si identifica con il governo, ha una sua missione, una sua visione, ha un suo progetto.

Non siamo nati per sostenere questo governo, e anche Letta nel suo discorso di insediamento lo aveva ricordato.
Se non ci identifichiamo e lo sosteniamo, non con le provocazioni del Pdl, ma con le nostre idee e il nostro programma, il governo fa cose utili per il Paese e non si annulla la visione del Pd.

Ad esempio, io non intendo sacrificare la Costituzione che ė di tutti per questo governo. E’ proprio giusto creare questo scontro tra governo e Parlamento per tre settimane in più di confronto? E per quale motivo, nel merito e nel metodo, dovremmo blindare il confronto nella maggioranza che sostiene il governo? Ma non solo sulla Costituzione, ci sono temi -la legge elettorale, i diritti civili e le questioni etiche- sui quali deve essere possibile assumere come gruppo parlamentare e come partito una nostra autonoma iniziativa.

E non dobbiamo fermarci neppure a questo: anche sul modello economico e sociale, abbiamo un nostro modello di sviluppo da affermare, penso in particolare al Mezzogiorno, l’area di fragilità più acuta del Paese, in cui sfidare anche il centrodestra e se facciamo così, noi sosteniamo il governo e lo aiutiamo a trovare le risposte più giuste ed efficaci.

Se dunque il partito non si identifica in questa fase, non si può cambiare lo Statuto solo perché c’è un governo che sosteniamo con lealtà.
Non ho presentato una mozione, non mi candiderò e non ho deciso chi sostenere, anche se tutti sanno chi non sosterrò. Ma a chi si candida oggi dobbiamo chiedere di fare il segretario, non di rinunciare a candidarsi alla guida del Paese. Come ha fatto Bersani per 4 anni: segretario che non si limitava a riorganizzare il partito, ma segretario di un partito che si proponeva di governare e cambiare l’Italia. Pensate davvero che un partito che non si presenta come forza di cambiamento possa interessare a qualcuno?

Attenzione anche ad un congresso in due tempi. Nei nostri circoli sono più svegli di noi e non hanno intenzione di fare i congressi territoriali sganciati dalle idee e dalle proposte legate alle candidature nazionali.

Vorrei un congresso vero, competitivo sulle idee, in grado di sciogliere i tanti nodi ancora irrisolti. Non vorrei un congresso acquietato solo perché non si deve disturbare il governo. Così come non mi rassegno alla fine del bipolarismo, e se in questa fase il bipolarismo non c’ė, io lavoro perché il Pd ne ricostruisca le condizioni.

Penso che tra di noi dobbiamo fidarci, dobbiamo investire di più nella nostra capacità di essere responsabili in modo libero e leale: con la costrizione degli stati di necessità non si va da nessuna parte.

Rosy Bindi

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