Il progetto è un po’ più ampio della semplice campagna congressuale del Pd (di questo Pd).

È la costruzione di un’alternativa, proprio così, nel momento in cui le alternative sono negate.

E un progetto in due tempi, ma solo per via della situazione in cui ci troviamo.

Il primo tempo lo scrive Silvia:

Niente rimpasto, ma un vera “verifica” sì: il Pd deve “rinegoziare” il programma di governo col Pdl, insistendo per mettere la legge elettorale al primo posto, altro che pasticci costituzionali (anche perché c’è una sentenza della Corte contro il Porcellum); sull’Imu, si stabilisca una volta per tutte che l’abolizione totale non si fa e non si deve fare; si facciano i benedetti tetti agli stipendi dei manager e la legge sul finanziamento dei partiti, anche per dare un segnale agli elettori (dopo averli annunciati, non farli sarebbe un vero autogol); si inizi finalmente ad abbassare le tasse sul lavoro (ormai, anche in tv, ne parlano tutti).

Dopo questo primo tempo, arriva il bello.

Ovvero, la costruzione di una sfida che può coinvolgere la maggioranza dei cittadini, in previsione di nuove elezioni.

Una sfida politica e, questa volta sì, davvero nuovissima. Che sappia far tesoro di quello che è successo a febbraio e che non possa essere ridotta a formule politicistiche, perché le vuole rovesciare completamente.

Una sfida che è anche culturale, che costruisce un fronte inedito, tra tutte le forze che vogliono cambiare. E che tenga insieme l’Italia che non ha mai governato, o che l’ha fatto sotto mentite (sic) spoglie.

Un progetto di riscatto contro ogni ricatto. Che parta dal Pd perché è l’unico posto dove si può discuterne (caro Scanzi), ma che immediatamente lo superi, valorizzando il suo straordinario patrimonio di persone, di storie e di idee, che non coincidono con la sua dirigenza e che spesso si risolvono in qualcosa di molto diverso.

Un appello agli elettori e ai politici di ciò che c’è già (a cominciare da Sel e dal M5S, certamente) ma anche di ciò che non c’è ancora.

Che muova da quello che scrivono Rodotà, Zagrebelsky e Spinelli, da quello che analizza Diamanti, da un’Europa politica che non c’è mai stata, dalla spinta egualitaria che sentiamo forte nel Paese, dalla separazione della politica dalla mera gestione del potere a cui ci invita Barca, da quello che fanno le nostre amministrazioni più innovative, dalle donne e dagli uomini che vogliono finalmente vedere riconosciuti i loro diritti, da un disagio sociale che è l’unica cosa concreta e eticamente sensibile, dalla speranza di una generazione di cambiare passo, per consegnare il nostro Paese ai nostri figli, in condizioni migliori di come l’abbiamo trovato.

Non vi chiedo di iscrivervi al Pd per il Congresso, vi chiedo di iscrivervi a questa idea, a mettere insieme ciò che ora è diviso in fronti diversi, in un soggetto nuovo, ripensato nelle forme e negli obiettivi, nelle parole e nelle persone. Oggi siamo separati, e il risultato è l’affermazione di un modello conservatore (di se stesso) che è la cosa più sbagliata che si possa fare.

Se ci state, e ci stiamo in tanti, tantissimi (perché a pensarla così stiamo tanti, tantissimi), consideratemi non un figo, ma un semplice strumento di un progetto più grande di me (e lo so bene) e solo perché mi trovo in mezzo a tutto questo (e mi ci sono trovato per via di tutto quello che è successo, ma anche perché ne sono convinto).

Perché è un progetto a cui dedicare gli anni migliori della nostra vita, perché la politica torni ad avere un senso.

E perché sia la vittoria dei perdenti (come gli strateghi chiamano anche me), che non aspettano altro. E non si meritano se non una vera occasione per cambiare le cose.

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