Ieri sera, al Fuori Orario (per chi ancora non lo sapesse, è a Taneto di Gattatico), si è discusso molto di che cosa succede a quel mondo che – per capirci – potremmo chiamare area Rodotà (anche scandito, che è una parola tronca, e va benissimo per gli slogan), ovvero quel movimento di opinione che si colloca tra gli elettori ai margini del Pd e e del M5S (arrivando a rappresentarne molti, di entrambe le formazioni), che coinvolge Sel e che è popolarissimo tra i movimenti che attraversano la società.

Un’area composta da minoranze attive e consapevoli, che non si sente in alcun modo rappresentata da questo ‘stato di cose’. L’area degli sconfitti sulla via del Quirinale, che però proprio in quei giorni, a partire proprio da Rodotà, hanno conosciuto un momento di protagonismo straordinario.

Ne ha parlato Sergio Blasi, che è segretario del Pd della Puglia, chiedendo una grande sfida per la nazionalizzazione dell’Ilva e il recupero del tempo e della salute e del lavoro perduti in questi anni. Ne ha discusso Marco Boschini, invitando a non disperdere (di più, a organizzare) le energie più innovative del dibattito pubblico italiano. Ne abbiamo parlato con Federico Pizzarotti, perché la partita non è mai chiusa in politica, come cerco di spiegare ormai da settimane, ed è troppo importante discutere di cose da fare per fermarsi agli steccati e alle etichette di partito (e di movimento, eh).

Di tutto questo, nelle stesse ore, scriveva Salvatore Settis, che ha presentato un veloce manifesto su Left, in edicola da sabato. Il punto 8 è quello che mi pare più rilevante, sotto il profilo politico, e ve lo sottopongo:

Una parte larghissima del Paese esprime una radicale opposizione a questo corso delle cose. Lo fa secondo modalità diverse, anzi divergenti: (a) la sfiducia nello Stato e il rifugio nell’astensionismo; (b) gesti individuali di protesta; (c) vasti movimenti che tendono alla rappresentanza parlamentare e alla forma-partito, come il M5s; (d) piccole associazioni di scopo, dichiaratamente non-partitiche, per l’ambiente, la salute, la giustizia, la democrazia. Queste ultime sono ormai alcune decine di migliaia, e coinvolgono non meno di 5-8 milioni di cittadini. È a partire dall’autocoscienza collettiva generata da questo associazionismo diffuso (ma anche nei sindacati) che si può avviare la necessaria opera di restauro della democrazia.

Mi permetto di aggiungere una postilla: tutto questo patrimonio (culturale e ambientale, sì, e italianissimo) va organizzato e trasformato in una coerente visione di governo. E lo si deve fare tutti insieme. Da subito. Superando antiche classificazioni e però recuperando antichi aspetti della vita democratica del nostro Paese, che sarebbe un crimine smarrire (ulteriormente).

Nel mio piccolo, sono a disposizione.

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