Ora, siccome si sono dimessi tutti, o quasi, ci si aspetterebbe che i dimissionari fallimentari non dessero la linea sul futuro. Si facessero da parte, andassero a vedere un film, passeggiassero per i giardini con un gelato in mano e lasciassero fare ad altri.

Il tanto vituperato Veltroni fece così, si elesse Franceschini pro tempore, Franceschini ‘resse’ il partito giurando di non candidarsi, poi si candidò e perse. Tra l’altro allora – era il 2009 – avevamo perso due regioni, ora abbiamo perso la faccia, che mi pare più grave.

Invece di indire un Congresso aperto per stabilire chi dovrà guidare il partito, con quali parole e quali obiettivi, e magari ricostruire il centrosinistra devastato in tre settimane, è tutto un rincorrersi di ipotesi che dicono che il Congresso si farà sabato, tra i delegati di un’assemblea eletta nel 2009: i prossimi quattro anni saranno decisi da chi è stato votato quattro anni fa.

Per la nuova segreteria, oggi si parla di Vasco Errani, che se Bersani avesse vinto, sarebbe stato il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Ora è indicato da molti, insieme a Cuperlo e a Epifani, come il possibile sottosegretario al Pd.

Il Congresso, poi, lo ripetiamo, sarebbe limitato ai soli tesserati e si avanza anche l’ipotesi che sia solo a tesi, senza candidature. Senza primarie, insomma, e sulla base di un’unica vera tesi: tenersi il segretario che eleggeremo sabato.

Dopo la Presidenza della Repubblica, il governo Pd-Pdl, ci tocca anche questa. E se il Pd si basava su due elementi fondamentali, l’apertura verso i propri elettori e la capacità di costruire un’alternativa di governo alla destra, quei due elementi non ci sono più. Quanto alla linea politica, ne discuteremo dopo avere scelto chi la dovrà interpretare.

A me pare un fatto colossale e mi sorprende che così poche voci si levino, tra i dirigenti vecchi e nuovi, per segnalarlo: è o dovrebbe essere una questione di rispetto, per i propri elettori e per le loro intelligenza e sensibilità, prima di tutto.

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