Si vive tutti quanti sulla superficie. E infatti i commenti superficiali funzionano parecchio.

Se Bersani non riesce a fare un governo con il M5S, bisogna andare con Berlusconi. Anzi, no, al voto. Subito, però. Peccato che non si possa fare né l’una, né l’altra cosa. Perché poi quando si deve parlare dichiaratamente di governo con Berlusconi, anche i più solerti dichiaratori si incupiscono, cercano le parole, adottano perifrasi. E perché tutti quelli che ora dicono «meglio tornare al voto», hanno fatto una grande scoperta. Davvero. Peccato che sia esattamente il punto di partenza delle posizioni che si intende criticare: perché al voto, prima del nuovo Presidente, non si può andare (che pazienza, che ci vuole) e perché si è provato a fare l’unico governo politico possibile, che non è certo quello con Berlusconi.

Oppure, il M5S ha vinto perché bisogna ridurre i costi della politica. Che è vero, soprattutto per le voci più considerevoli, ma non è certo il motivo più profondo, che è da ricercare piuttosto nella crisi economica e sociale, nel crollo della rappresentanza, nell’incapacità della politica di interpretare le battaglie che gli stessi cittadini fanno, «all’insaputa» dei partiti politici.

O forse si pensa ancora di rispondere con l’agenda Monti (a proposito, l’edizione 2013 non l’hanno stampata? Forse no, perché non ne parla più nessuno, nemmeno Monti)? O forse la chiave è la ricetta liberista e la deregulation totale? O forse il problema è negare la questione della disuguaglianza, che solo in Italia è considerato un tema secondario, anche da una parte consistente della (cosiddetta) sinistra?

Non ci si rende conto che il mondo sta cambiando e sta cambiando anche il giudizio del mondo sull’economia europea e sullo strano caso di un Paese come il nostro che è un po’ più grande di Cipro (eh) e che rischia di travolgere tutti quanti. E il debito e forse anche il deficit stanno passando in secondo piano, anche presso le centrali del potere internazionale, lasciando il passo alla banale considerazione che così non se ne esce, dalle secche della crisi. E ci si avvita e si continua a scavare, finché non ci ritroveremo in Cina (per via della famoso sindrome e non solo).

Sono tutte cose che non ci stanno in un titolo e quindi è meglio non parlarne. Meglio fare un po’ di sarcasmo, buttarla in caciara, distinguersi, dire «quello che pensano tutti», anche se si sa che non è realizzabile. E quindi non è nemmeno concreto dire una cosa (solo apparentemente) concreta.

Per ripartire, il Pd dovrebbe scendere in profondità. Semplificando il linguaggio e riducendo gli ottanta-volte-otto punti, siamo d’accordo, ma cercando nella realtà le soluzioni, non nella dichiarazione di un collega del giorno prima. Perché anche quella è legata a quella del giorno precedente e ci conduce direttamente al regresso all’infinito. E al default. Che forse è qualcosa su cui si inizia a puntare, senza rendersi conto che riguarda tutti.

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