Le ultime righe de La rivendicazione della politica. Era l’agosto del 2012. Per me, si deve ripartire da qui.

Senza scomodare chi l’ha indagata in termini filosofici, come Jacques Derrida, il concetto di ospitalità può venire in soccorso per riformulare i rapporti tra la politica e la società civile, tra il ‘dentro’ e il ‘fuori’. Perché un partito oggi deve essere soprattutto ospitale, capace cioè di garantire il dibattito più aperto, mettendo a disposizione le proprie sedi (in senso fisico ma anche politico) e le proprie competenze (fatte di esperienze e di riflessioni maturate al proprio interno e sulla base dell’esperienza amministrativa), utilizzando finalmente la rete come strumento di dibattito, di confronto e anche di valutazione e di decisione collettiva. Senza temere chi bussa alla porta, ma affrontandolo con parole chiare e argomentazioni capaci di rispondere alle domande che gli ‘estranei’ ci rivolgono.

Deve scegliere la via del confronto, non la barriera del pregiudizio. Deve portare la sfida sul terreno della qualità e delle soluzioni di governo, senza preoccuparsi delle domande, ma sapendo formulare le risposte. Deve dimostrare curiosità e rispetto per chi pone il problema, al di là delle modalità con cui lo fa (anzi, le stesse modalità vanno indagate, con attenzione e con cura). Deve interpretare le spinte – per loro natura vigorose – che provengono dalla società, senza fermarsi alla superficie dei fenomeni, soprattutto di quelli che non sa (né forse può) ‘catalogare’. Deve utilizzare con parsimonia e nel senso più corretto le parole della politica, premurandosi sempre di spiegare perché sì e perché no, senza concedersi mai – mai! – una critica ai concorrenti che non sia associata a una proposta che sia, appunto, concorrenziale.

Deve provare a rovesciare il punto di vista, e a chiedere conto ad altri delle proprie proposte. Deve soprattutto mettere a disposizione un luogo dell’informazione compiuta, in cui ci si possa confrontare a partire da dati reali, confrontabili e assunti da tutte le parti in causa, senza indisporsi e senza imporsi, ma disponendosi al confronto e imponendolo a tutti, prima di tutto a se stessi.

Deve considerare l’ignoto per quello che è, senza volerlo ridurre al noto (soprattutto se il noto coincide con ciò che si è), e provare a mettersi in discussione, allargando le proprie soglie di comprensione della realtà, alla ricerca della soluzione migliore. Deve trovare quel fico di cui abbiamo parlato, quel luogo tra Scilla e Cariddi o, se si preferisce, tra ‘piazza’ e ‘palazzo’, per adottare le espressioni più in voga nel dibattito politico e poi buttarsi, nel mare aperto della vita reale dei cittadini e degli elettori. E delle cittadine e delle elettrici, prima di tutto.

Se soffia il vento, ci vogliono i mulini, che trasformino quella forza della natura e dell’indignazione in una straordinaria energia di governo. Se lo si lascia soffiare, diventa bufera, e tende a spazzare via tutto. Se invece lo si accompagna e lo si governa, in qualche modo, e lo si rende energia di governo, allora sì che si interpreta un ruolo politico.
In questo senso non è sufficiente limitarsi a sostenere che Beppe Grillo sia un pallone gonfiato che prima o poi sarà destinato a sgonfiarsi; anzi, è proprio questo che costituisce un sintomo di un grave deficit di lungimiranza politica. Gli elettori delusi – ‘esuli in patria’ secondo la definizione di Ilvo Diamanti – vanno rispettati e coinvolti. Perché sono gli «elettori riluttanti» la vera questione da affrontare, all’insegna di quella lettera scarlatta della politica italiana che è proprio la ‘A’ di astensionismo.
Perché dallo «scrutatore non votante» di Samuele Bersani (era il 2006, l’album L’aldiquà) siamo passati ai «non votanti che ci scrutano» e che si chiedono se vogliamo rivolgerci a loro con parole chiare e proposte nitide, che provino a rappresentarli. Finalmente.

A volte, insomma, anche per far luce su ombre che continuano a incombere sulla politica italiana, se non si riescono a vedere le stelle, per rimanere in metafora, si può accendere un lampione. A led, mi raccomando.

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