Il fico di Ulisse (di cui si è parlato diffusamente in questa sede, con una pubblicazione, diciamo così, di riepilogo) sarà al centro delle analisi elettorali.

Sorprende la modalità con cui il tema della disaffezione si sia imposto, quasi fosse una moda, solo nelle ultime ore: come se in questo Paese non ci fosse un problema di rappresentanza, come se non conoscessimo da tempo le spinte anti-sistema, come se fosse davvero impossibile prevedere che il crollo verticale di uno dei due schieramenti (che, comunque vada, ha perso la metà dei suoi voti) avrebbe portato molti voti da un’altra parte. Che non era l’altra parte, appunto, ma qualcosa che prima non c’era.

L’esigenza di cambiamento spesso si traduce, in questo Paese, nella richiesta di premere il pulsante reset, magari da parte degli stessi elettori che hanno sostenuto – oltre misura, almeno dal punto di vista temporale – uno stato di cose, confermandolo con il loro voto, in questo caso, per vent’anni.

Dalla rottamazione siamo passati alla liquidazione: tema non nuovo, che soprattutto al Nord conosciamo molto bene, perché nel breve volgere di due anni, dal 1992 al 1994, si impose con percentuali che superarono in alcuni casi addirittura il 50%. Poi è giusto notare che anche allora c’erano altri argomenti, che si aggiungevano al tema di fondo dell’azzeramento dei partiti tradizionali e del sistema politico nazionale.

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