Capisco tutto, e da tempo chiedo che la politica se ne occupi. Capisco la rabbia, l’indignazione, il sentimento diffuso di radicalità. Vedo assumere da parte di molti l’atteggiamento del tanto peggio, tanto meglio. Vedo poca misura e poche misure concrete in una campagna elettorale dove ogni promessa appare come una bugia, per di più già consumata. Vedo il risentimento sommarsi alla preoccupazione per la situazione sociale ed economica e la tentazione che molti sembrano caldeggiare, orientandosi verso l’ennesima scorciatoia. O verso l’ingovernabilità, perché poi alla prossima partita sì che vi faremo vedere.

Con molta sincerità credo che dopo vent’anni buttati letteralmente via, non possiamo rimandare (ancora?). Che nessuno – nemmeno tra le famose élite – possa augurarsi un pareggio e l’ingovernabilità che può portare con sé.

Che l’alternativa tra Bersani e Berlusconi non sia un fatto accademico, ma la scelta tra gli unici due schieramenti che possono ambire alla vittoria e al governo.

Che, insomma, a un progetto di cambiamento vada associato anche un progetto di governo, e che le due cose non si escludano: si richiamino. E l’una senza l’altra semplicemente non esista.

Se non ci sarà un governo solido, ci toccherà rinviare anche il progetto di cambiamento. A data da destinarsi. Che per un Paese come il nostro significa, in ogni caso, troppo tardi.

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