Degli ambientalisti dalle liste è determinata da mille motivi, a cominciare dalle famose quote, che non a caso ho trovato veramente fuori luogo.

Ieri la protesta formale e qualche (spiacevolissima) considerazione, a proposito del caso ambientale più eclatante degli ultimi tempi (e degli ultimi anni).

Oggi ne scrive Cazzullo sul Corriere, ricordando una cosa che spesso mi capita di scrivere anche qui, che l’ambiente in altri Paesi è decisivo, sotto il profilo elettorale e, soprattutto, politico.

Negli altri Paesi non è così. In Germania i Grünen sono da venticinque anni il terzo partito, hanno governato per due legislature accanto all’Spd, guidano con Winfried Kretschmann un Land importante come il Baden-Württemberg, che oltre a essere stato uno storico feudo conservatore ospita il più grande polo automobilistico d’Europa. In Francia i Verdi hanno stabilmente risultati elettorali a due cifre, alle ultime Europee affiancarono i socialisti a quota 16%, e ora condividono vittorie e difficoltà con Hollande. In America, a parte le campagne di Al Gore, Obama ha voluto al governo Steven Chu, Nobel per la fisica grazie alle sue ricerche sulle energie verdi, e ha affidato l’agenzia per la protezione della natura e l’agenzia per il monitoraggio geologico a due leader storiche dell’ambientalismo come Lisa Jackson e Marcia McNutt. È vero che il presidente è accusato di non aver mantenuto le promesse sulla lotta all’effetto serra; ma le critiche vengono anche da destra, ad esempio dal sindaco miliardario di New York Bloomberg. Insomma, nel mondo i Verdi esistono e non sono confinati in una riserva, dialogano con i vari schieramenti, assumono responsabilità.

Sarebbe crudele paragonare tutto questo ai disastri di Pecoraro Scanio. La questione non è tanto che gli ambientalisti abbiano fallito nel formare il loro partitino, in aggiunta alle varie sigle postcomuniste e postfasciste che ci concederemo alle prossime elezioni. La questione è che non sono riusciti a ibridare i partiti veri. A diffondere le loro culture. A imporre un tema che attraversa tutti i campi della nostra vita quotidiana e della nostra attività, dalle politiche industriali alla sicurezza sul lavoro, dalla salute al turismo (possibile motore della ripresa italiana di cui anche si parla poco). Mentre ai cittadini il tema interessa moltissimo; infatti quando possono occuparsene lo fanno in massa e con determinazione, sia pure nella forma tranchante dei referendum, che riconduce temi complessi come la ricerca sul nucleare e le risorse naturali alla semplificazione talora eccessiva di un sì e di un no. Una volta ogni dieci anni gli elettori battono un colpo; poi la classe politica lascia ricadere lentamente le polveri. Anche così si amplia il distacco tra il Palazzo e il Paese.

In Italia, l’ambiente tema decisivo non lo è, nella politica mainstream (non certo nella percezione degli elettori, e nell’attività dei movimenti). E non da ora. E per chi come me ambientalista, nel senso europeo, si sente, è ancora una volta la riprova che ci si sente, su alcune questioni, come una particella di sodio (anzi, due, perché ci sarà Realacci). Lo stesso discorso lo potremmo fare per l’agenda digitale. E altri temi minori, che però minori non lo sono. E non dovrebbero esserlo.

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