Per quanto riguarda la scuola, in Lombardia, la prima cosa da fare è ritornare a una concezione universale di diritto allo studio (diritto che rovesci le mille situazioni di privilegio che abbiamo conosciuto in questi anni).

In campagna elettorale, nel 2010, dicevamo: «i buoni scuola sono cattivi». Due anni dopo confermiamo la presa di posizione, anche se qualche cambiamento è intervenuto negli ultimi anni per rendere lo strumento meno iniquo nei confronti delle famiglie lombarde. Come ormai è noto, il meccanismo del buono scuola ha progressivamente prosciugato i fondi destinati al diritto allo studio, assegnandolo in via quasi assoluta a chi optava per la scuola paritaria.

Per affrontare fragilità e la dispersione scolastica e per sostenere chi parte da condizioni svantaggiate, perciò, non ci possono essere trattamenti diseguali a favore di chi sceglie la scuola privata rispetto alla scuola pubblica, com’è accaduto in questi anni, con una forzata interpretazione dello stesso concetto di «libertà di scelta» (a sua volta molto discutibile, per altro, perché la libertà di scelta esiste soltanto quando vi sono le stesse possibilità di accesso alla formazione e la migliore informazione possibile rispetto alle alternative che alle famiglie si possono prospettare).

Il sostegno deve partire da una valutazione (uguale per tutti) del reddito e del patrimonio di una famiglia e, nel corso della sua carriera scolastica, premiare il merito e l’impegno dello studente (all’insegna del dettato costituzionale che vuole siano premiati «i capaci e i meritevoli»).

Anche rispetto alla dote, come abbiamo più volte ripetuto nei capitoli precedenti, non può non esserci alla fine del percorso un momento di valutazione dei risultati a cui portano i finanziamenti regionali. Anche sotto questo profilo, una profonda revisione è necessaria, se davvero si vogliono cambiare – in meglio – le cose. E rendere più trasparente un sistema che promuova davvero i promettenti e non i conoscenti.

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