Non parlo volentieri della mia vita privata, ma tanto la mia vita non è più molto privata, e quindi vi dirò una cosa che molti sanno già, ma che personalmente non avevo mai provato.

Cambiare un pannolino è il cambiamento più notevole di cui si possa parlare, perché in realtà, mentre lo cambi, cambia qualcosa dentro di te. E quel cambiamento fa pensare all’uso (e all’abuso) stesso della parola, a cui si rifanno un po’ tutti, in continuazione. Pochi se la possono permettere, e la traduzione di «change», nel nostro Paese, sembra essere ancora più faticosa che altrove.

E però il cambiamento di cui sto parlando fa riflettere: circa la questione generazionale, le rottamazioni e i gattopardismi, il dato anagrafico e quello politico e culturale.

L’altro giorno ho incontrato una parlamentare del Pd che mi ha detto: non sapevo fossi diventato papà, non ti ci vedo, sei così giovane. Nel Pd, evidentemente, non bastano trentasette anni nemmeno per diventare papà.

E però trentasette anni sono tanti, non si è più giovani da un pezzo, e la questione allora non è tanto quella di mandare a casa quelli di prima, ma capire chi come scegliere e come selezionare quelli di dopo. I prossimi, se preferite. E rendersi conto che i destinatari del cambiamento, già, sono quelli che verrano ancora dopo.

Per fare questo, gli slogan servono, ma non sono sufficienti. Serve una nuova politica, un progetto plurale e collettivo, che rimetta al centro le cose e i cittadini, nello stesso istante, perché sono le cose a riguardare la vita dei cittadini, e viceversa. I politici sono solo un apostrofo – nemmeno tanto roseo – tra questi due elementi, che devono tornare ad essere centrali in ogni discorso pubblico.

E serve che prima o poi ci si incontri, tra le generazioni, perché è appunto generazione, la parola, da intendersi in tutta la sua complessità. Che ci si incontri e ci si confronti e ci si scontri, anche. Un po’ come fecero Enea ed Anchise, mentre Troia era in fiamme. Per concludere che il pericolo lo avrebbero superato insieme («unum et commune periclum, una salus ambobus erit»), e soltanto se ognuno avesse trovato il suo posto e il suo ruolo. Con Creusa (e la sua ombra, perché la questione femminile c’era già allora) e il piccolo Iulo che li seguiva a un passo.

Ne parlava Virgilio, duemila anni fa, in un passo che tutti dovrebbero rileggersi, ogni tanto, prima di parlare di generazioni. Senza rendersi conto che sta cambiando anche quella a cui loro appartengono. E che quella che ci interessa, è quella che ci seguirà. A un passo.

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