Ma avendo io già più volte pensato meco, onde nasca questa grazia, lasciando quegli che dalle stelle l’hanno, trovo una regola universalissima; la qual mi par valer circa questo in tutte le cose umane, che si facciano, o dicano, più che alcuna altra; e ciò è fuggir quanto più si può, e come un asperissimo e pericoloso scoglio la affettazione; e, per dir forse una nuova parola, usar in ogni cosa una certa sprezzatura, che nasconda l’arte, e dimostri, ciò che si fa, e dice, venir fatto senza fatica, e quasi senza pensarvi. Da questo credo io che derivi assai la grazia: perché delle cose rare, e ben fatte ognun sa la difficultà, onde in esse la facilità genera grandissima maraviglia; e per lo contrario, lo sforzare, e, come si dice, tirar per i capegli, dà somma disgrazia, e fa estimar poco ogni cosa, per grande ch’ella si sia.

Tra tante dichiarazioni sprezzanti (lui è inadatto, lui è un perdente, lui non esiste, che forse ci vorrebbe una lei, tra l’altro) da parte di tutti-contro-tutti i protagonisti delle primarie-che-non-ci-sono-ancora, consiglio la «sprezzatura» di Leopardi un po’ a tutti, se si può. Perché i toni, come già rilevavo in un consiglio di qualche giorno fa, a proposito di un’altra recente polemica che ci ha travolti, sono sorprendenti. Ma in negativo. E danno l’idea che siamo già alla formula della «gabbia di matti».

Cambiare registro è possibile. E necessario se si vuole cambiare (il) Paese. Altrimenti, vien voglia di lasciare le parentesi. E non solo.

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