Pepecchio riprende Sofri che riprende il Pd.

Caro Giuliano, ho letto alcune reazioni alle mie opinioni sul Pd e i diritti civili, esposte su Repubblica lunedì: quella di Rosy Bindi su Repubblica, di Francesco D’Agostino sull’Avvenire, e la tua qui. La discussione con Bindi riguarda essenzialmente la posizione del Pd, che dal tuo punto di vista è secondaria, dunque qui la ignorerò. Non pretendo di rispondere punto per punto; mi interessa chiarire un paio di questioni che mi stanno più a cuore. D’Agostino trova che io ricorra a un sofisma quando propongo che le persone siano libere di considerare il proprio legame di coppia come un matrimonio, e sostiene che “tutti gli argomenti portati a favore del matrimonio gay (in sintesi: la tutela dei diritti delle coppie omosessuali) sono fragilissimi…”. Vorrei intanto obiettare a questa “sintesi”. Io non ne so abbastanza, essendo stato costantemente eterosessuale e presto sposato e separato: quando mi sposai (civilmente, perché non ero e non sono credente) non lo feci “per tutelare i diritti della coppia”, ma perché ero innamorato e ricambiato e condividevo una cultura, per esempio quella dei miei genitori (cattolici credenti, loro) per la quale il matrimonio era la sanzione simbolica più impegnativa di una scelta d’amore. Come tante altre persone della mia generazione e di quelle successive, ho cambiato più tardi il mio modo di pensare e di sentire. Ma credo ancora che le persone, qualunque sia il loro genere e la loro vocazione sessuale, che desiderano sposarsi, lo facciano soprattutto per amore, o per la costellazione di sentimenti che gira attorno all’amore. Se si trattasse della “sintesi” di D’Agostino – “la tutela dei diritti delle coppie” – non si vede perché affannarsi tanto attorno al nome di matrimonio e alla cerimonia conseguente, che è l’unico connotato ulteriore di un patto civile che riconosca i diritti della coppia. La mia disinteressata simpatia per la rivendicazione del matrimonio fra due persone adulte è legata al fatto che riconosco, per averle a mia volta conosciute, la bellezza e la serietà di quel loro desiderio. Fragilissimo, ritiene D’Agostino il favore al matrimonio non eterosessuale, perché “la tutela giuridica del matrimonio ha la sua unica ragion d’essere nella sua ‘naturale’ funzione generativa, preclusa, sempre per ragioni ‘naturali’, alle coppie gay”. Mi rivarrò su D’Agostino dichiarando che il suo è un malinconico sofisma. Se il matrimonio fosse giuridicamente tutelato solo in grazia della generazione, perderebbe la tutela nel caso, volontario o ‘naturale’, dell’infecondità: grazie al cielo non è così, nemmeno alla Sacra Rota dei bei tempi. E la sbrigativa dichiarazione di D’Agostino spalanca la strada in realtà al suo opposto, che è la possibilità di adozione riconosciuta alle coppie gay. Lo stesso argomento rivolgo a te, Giuliano. Io non aspiro – credo di no, almeno, non che io sappia – a una “feticistica reductio ad unum del diritto eguale”. Sono pieno di affetto e di nostalgia per tante cose che sono finite nel corso della mia lunga vita, o stanno finendo – sto finendo anch’io. Sapessi come mi fa tremare un mondo di figli unici per legge o per avarizia, in cui non si abbiano più sorelle e fratelli. Ad alcune cattive cose nuove mi opporrò fino all’ultimo. Non me la sento di considerare una cattiva cosa nuova il coraggio col quale persone che hanno vocazioni e scelte sessuali così differenti dalle mie rivendicano di realizzare desideri così simili ai miei. Non me la sento di ostacolare quei loro desideri. Che si tratti del suggello solenne e allegro del matrimonio, e più ancora di dare a una bambina o a un bambino la vita migliore possibile.

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