Francesco si concentra sul concetto di beghe, adottato dall’ineffabile Bersani, che – con un po’ di quel populismo che dice di rifiutare – ha spiegato ieri che non ci dobbiamo abbandonare alle beghe interne, perché noi ci rivolgiamo al Paese.

Curioso che diritti civili e altri temi come la democrazia siano ridotti a beghe interne. E che un partito preferisca non dar voce – attraverso il voto – alle minoranze, nella sua sede più opportuna, quella dell’assemblea nazionale.

E ancor più curioso perché, com’è noto, le primarie erano state espunte dall’ordine del giorno, in quanto se ne parlerà più avanti: poi, com’era ovvio, ieri se n’è parlato tutto il tempo, ma certamente è successo per colpa dei nostri ordini del giorno.

E ancora più curioso, anzi curiosissimo, perché ad un certo punto le beghe sono emerse proprio tra Bersani e Bindi, che sul palco visibilmente discutevano, perché Bindi era arrabbiata con Bersani per via del fatto che un componente della segreteria aveva firmato un documento apertamente critico nei confronti del lavoro della commissione interna (una bega?) sui diritti civili (bega al quadrato?).

E per finire, anzi, per precludere, la cosa ancor più curiosa è che tutti dicevano cose diverse, e non erano facinorosi, no, eran capigruppo e presidenti, membri di questa segreteria o di quell’ufficio di presidenza.

Quelli che… le beghe sono, secondo il segretario, quelli che presentano tre odg più uno, li pubblicano sul web cinque giorni prima, raccolgono le firme di esponenti di diverse mozioni congressuali e chiedono di votare. Son proprio begosi, questi qui, anzi beghisti. E ovviamente preoccupati degli equilibri interni, e non dell’effetto che facciamo all’esterno.

A quello ci pensano le duemila interviste settimanali in cui si ‘precisa’ il pensiero del segretario. A volte stravolgendolo completamente, ma cosa volete che sia.

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