Oggi ho avuto il piacere di passare un po’ di tempo con Giuseppe Natta, che mi ha aggiornato sullo sviluppo del suo progetto Neorurale. Alla Cassinazza, presso il Comune di Giussago, in provincia di Pavia.

Ha parlato a lungo, e l’avrei anche ripreso, se non avesse un po’ di ritrosia a mostrarsi al grande pubblico, come si suol dire.

Mi ha detto che dobbiamo cambiare i modi di pensare, anche nel «mondo verde» e nella sinistra. Perché continuiamo a focalizzarci su cose vecchie, e con un certo complesso di superiorità che ci impedisce di mettere a fuoco quelle nuove.

A un certo punto, si è fermato: «Sa le cose a cui siamo abituati?». Ecco, «le lasci da parte». «Questione di metodo», precisa, parlandoci di pompe di calore, di nuovi progetti super innovativi, che provengono da un uomo che si avvicina ai settant’anni. Ma che continua a frequentare il futuro. E che sembra provenire da un tempo che ancora non è arrivato per molti.

Lui ha l’indice delle farfalle (da associare idealmente al Pil), che sono diminuite del 95%, ricorda, ma non è un idealista tout court: è un imprenditore, fa cose che hanno un costo e sono remunerate. E in alcuni casi rendono molto.

Parla delle cascine del milanese come di aree da recuperare (come le aree dismesse delle città), perché ci si vada a lavorare e non a vivere, perché le cascine, sostiene, sono luoghi di lavoro, a pochi passi dalla città, e invece – se si sceglie l’opzione residenziale – spesso diventano «cattivi condomini». Inversione del punto di vista. E dei flussi di traffico. E del tempo che si passa durante il giorno, tra un airone cinerino e un picchio verde.

Natta è molto critico: le aree verdi non sono verdi davvero, ma «in attesa di urbanizzazione», se manca un progetto e un modello.

«Mi sono occupato sempre di cose che prima non esistevano», dice, come chiosa, per presentare se stesso e il proprio lavoro. Per capirlo, dice, ci vuole una nuova cultura politica. E non rivolgersi a «gente conosciuta da sempre, ma proprio alle persone non conosciute».

L’opinione comune è superata, per Natta. E bisogna trovare «qualcuno che si metta a cercare le competenze e gli interlocutori dell’innovazione come un cercatore di funghi».

Matteo, che fa il ricercatore, e che è con me all’incontro, interviene con un’altra immagine: «un giocatore di bocce. Che lanci il boccino un po’ più in là, molto più in là di quanto non si faccia ora».

Natta sorride. E prosegue nel suo racconto. Il suo è stato un formidabile intervento sul paesaggio. Un’area grande quasi due volte il parco di Monza, restituita alla natura e alla biodiversità. Un’impresa che muove dall’Europa, e che ha trovato tutto sommato poca fortuna in Italia. Che dovrebbe essere il Paese che più si cura del proprio paesaggio. Dovrebbe. E, soprattutto, avrebbe dovuto, perché molto del nostro paesaggio è andato perduto.

E la sua azienda, ceduta al gruppo A2A, ha sede in una cascina lombarda nuova, completamente tecnologica, con i pannelli solari sul tetto (che però «non si devono vedere», dice Natta), un ripetitore per avere molta banda sul quale nidificano le cicogne.

Un simbolo di quello che potrebbe essere l’Italia. Speriamo presto.

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