Ovvero, quando i voti scompaiono. E non si sa bene dove vanno a finire. E lo stesso vale per le idee. E per i concetti. E per la politica.

Ci sono due opinioni prevalenti, in queste ore.

C’è chi sostiene che la vittoria in tante città conti meno della sconfitta di Parma (senza contare che dir così non spiega quasi nulla del perché in altre città si sia vinto).

Dall’altra parte, c’è chi sostiene che la vittoria di Parma sia un fatto legato a mille motivi (il più stupido che ho sentito è che Parma sarebbe di destra, e che il M5S avrebbe vinto per il sostegno occulto del Pdl, senza contare che il candidato degli stellini ha vinto anche nei quartieri popolari e ‘rossi’ della città). E che il Pd abbia stravinto. E che non ci si rompa, quindi, i beneamati con le analisi del voto.

Mi pare che il problema sia un altro. Perché in ballo ci sono troppi ingredienti, e quando ce ne sono troppi, l’analisi non può che essere più meditata (anche se sembrerà meno efficace a chi ora chiede un redde rationem).

Andiamo con ordine: il dato più clamoroso è quello dell’astensionismo, della scomparsa dei voti e degli elettori. Si tratta del primo «vuoto» con cui fare i conti. Perché si è votato pochissimo al primo turno, e al ballottaggio di conseguenza (anche per via della grande frammentazione dell’offerta politica in molte città, che ha tenuto molti lontani dalle urne).

Voti che sono scomparsi a destra, soprattutto, e in alcuni casi in modo clamoroso. La Lega perde dappertutto, in tutte le sue versioni, magiche e non. Il Pdl fa figure barbine anche in città in cui ha sempre dominato. E allora il Pd, che di voti ne perde molti meno, vince, anche con percentuali notevoli. Conservando e a volte mobilitando il suo zoccolo duro. Che è largamente sufficiente, quando a votare sono così pochi. Ma se gli «altri» tornassero, noi esattamente che cosa faremmo?

Il secondo «vuoto» è legato alla difficile concettualizzazione delle primarie e di che cosa sia il centrosinistra. Perché dopo le primarie di Palermo alcuni strateghi dissero che aveva perso la foto di Vasto. E poi ci siamo ritrovati con due esponenti al ballottaggio che provengono dall’Idv, padrona di casa a Vasto (e anche a Palermo, evidentemente).

Di Marco Doria si continua a dire che è una sorta di alieno, mentre fa parte della storia del centrosinistra genovese, ed è stato votato alle primarie da moltissimi elettori del Pd (forse dalla maggioranza degli elettori del Pd).

Di altre città si parla meno, eppure le primarie hanno funzionato, hanno selezionato, hanno dato visibilità e hanno creato consenso intorno alla nostra proposta politica. E dove il centrosinistra è credibile e aperto alle forze vive della società civilissima, si è comportato bene. Anche nei centri medi, dove c’è un bell’equilibrio tra dinamiche locali e tendenze nazionali.

Eppure, c’è come un vuoto concettuale, forse mentale, nel pensare le primarie. A volte, come a Belluno, si rifiutano, e allora vince – anche con i voti della destra, certo – chi si chiama fuori, perché le primarie non si sono fatte. O a Cuneo, dove vince una formula centrista, che però muove dal rifiuto del risultato delle primarie. E allora perde un pezzo del Pd e vince l’altro pezzo, che si è staccato.

Il terzo «vuoto» l’ha sintetizzato bene Silbi in uno dei commenti ai post precedenti. Se guardiamo indietro, è una vittoria senza paragoni. Se guardiamo avanti, invece, è tutto un interrogativo.

A destra, certamente, perché quel «vuoto» è da riempire, e ci stanno pensando già, anche se Alfano ha collezionato una serie di figuracce da far paura (a cominciare da Agrigento), anche se Passera non è superman (anzi), anche se Casini sconta il suo passato forlaniano (sì, insomma, viene dal neolitico). C’è Montezemolo, che vuole fare il Berlusconi vent’anni dopo. E c’è Della Valle, che vuole fare più o meno la stessa cosa. E forse qualcuno del centrosinistra che sta meditando di candidarsi dall’altra parte, proprio per occupare quel «vuoto» smisurato.

A sinistra, il «vuoto» sembra più gestibile, perché quando si vince, si vince. Anche se su rigore e giocando solo un tempo. E però Vendola sta così così e anche Sel non si sente tanto bene, Di Pietro è aggredito dal voto del M5S, il Pd sembra conoscere un solo registro. Quello di sempre. Di un gruppo Ds esteso ad alcuni popolari, senza grandi slanci.

C’è poi il «vuoto» del ricambio, che qualcuno, certo, pensa di riempire con i replicanti e con i cloni di chi c’è da sempre. Altri, ancora più sfacciatamente, pensano di riempirlo ricambiando se stessi, e riproponendosi senza fare un plissé. E parlo soprattutto dei famosi big. Perché a oggi nessuno ha ancora dichiarato: dopo questa (che magari è la quinta), lascio. Che ho visto Rutelli in tv commentare preoccupato l’astensionismo, senza rendersi conto di esserne una causa.

E poi c’è il «vuoto» politico a cui consegue il «vuoto» della leadership. Perché si «svuota» il Nord, ma culturalmente e politicamente non siamo pronti all’operazione «occupy padania», per capirci.

Perché c’è il M5S, e non riusciamo a distinguere il grano dal loglio, le stelle buone dell’ambiente, della trasparenza, della riduzione del danno per quanto riguarda i privilegi della classe politica, dell’autopromozione dei cittadini che si fanno da soli (una sorta di rovescio del ghe pensi mi dell’ultimo ventennio, che però fa segno all’impegno civile in molte delle sue nobilissime forme), e la cattiva stella della scorciatoia e della parola populistica. Che colpisce prima di spiegare, che proclama prima di risolvere. Che sfiora la tautologia («noi» siamo «noi») e però raccoglie consensi notevoli. E vince, anche.

Passiamo dalla sottovalutazione dello snobismo alla sopravvalutazione dello spavento: e nessuno che si metta a fare politica, finora, si è visto, quasi da nessuna parte.

Ma c’è di più: non riusciamo a capire – cosa che trovo sinceramente incredibile –  come mai a Parma abbia potuto perdere un presidente di Provincia (non) uscente, una figura voluta dalle gerarchie bolognesi e romane, quando era proprio lì che si doveva sperimentare qualcosa di nuovo, perché Parma era la città dell’indignazione, che avevo personalmente raccontato mesi e mesi fa. Lo sapevano tutti quelli che avevano visto un Tg. E se non riusciamo a capire che cosa succede in Emilia Romagna, beh, allora, «Budrio, abbiamo un problema».

L’ultimo «vuoto» si colloca nel Mezzogiorno, dove ormai la politica assume sempre di più forme e soluzioni transgeniche, dove tutti sono alleati di tutti e insieme loro avversari, e dove il Pd, così com’è, è ridotto a pochi punti percentuali in molte province. Quando si presenta, perché a volte, come diceva Totò, desiste. Anche in questo caso, «vuoto» politico e di leadership, di volta in volta occupato dal carismatico del luogo. E nessuno sembra voler intervenire.

Ecco, il «vuoto» è il dato di queste elezioni. E sia detto con il massimo rispetto per i «pieni» che si sono visti. Però, mentre festeggiavamo, vedevo molti riflettere, consci che il tempo della riflessione stringe. E che bisogna inventarsi qualcosa. Di nuovo.

Molto dipenderà dalla nuova legge elettorale, se mai si farà. E allora bisognerà trovare il modo per riempire il «vuoto». E iniziare a dare risposte anche a chi non fa domande. O le pone come clave, contro chi si ostina a non rispondere.

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