Per Prossima Italia il 2011 è stato un anno appassionante.

Abbiamo messo a punto il modello «Think & Move», un approccio che unisca sempre di più l’elaborazione e l’iniziativa politica, strutturata per campagne, all’anglosassone, associando rete e territorio, relazione e contenuti, attraverso un’interlocuzione a tutto campo che ci ha molto arricchiti.

Abbiamo perlustrato il famoso territorio con decine di iniziative, partecipato alle Amministrative di Milano e Napoli (superando lo scetticismo che inizialmente le accompagnava), chiesto un maggiore sostegno della politica istituzionale ai referendum (ci hanno poi pensato i cittadini), promosso la riforma del sistema elettorale (quando abbiamo iniziato eravamo in pochissimi), proseguito nella costruzione di un rapporto con la «società civilissima» che abbattesse barriere e schematismi, nella speranza che per una volta i partiti si rendessero conto della loro parzialità nel complesso sistema dell’opinione pubblica che si è frammentato e però arricchito come da anni non accadeva.

Abbiamo finalmente assistito alla liberazione del web, prima considerato terreno elitario di confronto per pochi ‘eletti’ (quasi nessuno) e un numero ininfluente di elettori. Meglio tardissimo che mai, da Sucate in poi pare che tutti si siano accorti delle straordinarie potenzialità della rete. E allora tutti si sono precipitati su Twitter, ultima spiaggia di una politica alla ricerca della credibilità perduta. Che fa un po’ sorridere, ma è comunque meglio della sonora indifferenza che ha accompagnato per anni il fantomatico «popolo della rete».

Ci siamo confrontati con i fenomeni della cosiddetta «antipolitica» (termine scivoloso che funge spesso da alibi per far finta di niente) e dell’«indignazione» per comprendere le ragioni di un disagio sempre più profondo.

A Bologna abbiamo rappresentato plasticamente tutte queste sfide, invitando “mondo della politica” e “mondo e basta” a confrontarsi da un palco, finalmente associati in «accoppiamenti giudiziosi» che servissero ad alimentare un dibattito sempre più urgente.

Abbiamo posto alcuni temi che sono diventati sempre più di moda, a cominciare dalla questione della disuguaglianza e dalla lotta alla corruzione, per arrivare alla riforma della politica e alla partecipazione. Lo scorso anno, di questi tempi, gli istituti della partecipazione politica erano sotto attacco: ridimensionare le primarie e diffidare dei referendum erano gli slogan più gettonati. Le cose cambiano, e ora è venuto il momento di approfondire quell’idea di partecipazione che sola può salvare la politica italiana, dopo anni di populismo a una sola direzione che ha di fatto allontanato gli elettori nel momento stesso in cui li blandiva con argomenti alla loro portata. Il colmo dei colmi.

Ora punteremo sull’innovazione, sulla trasparenza e sulla trasformazione radicale del sistema politico rispetto alle consuetudini del recente passato. Lo faremo con una particolare attenzione nei confronti dei contenuti (e della scelta degli argomenti, come sempre), ma anche considerando come fondamentale il tema della selezione della nuova classe dirigente, dell’uso della parola pubblica e, insomma, del suo stile e della sua misura.

Nel momento del compromesso più alto, quello di un governo del Presidente, sono vietati i compromessi al ribasso, le gestioni clientelari e i pasticci da vecchia politica.

Sono vietate le autoassoluzioni di una classe dirigente che cerca di rilanciarsi attraverso Monti, senza rendersi conto che – alla fine del ‘processo’ – sarà ancora più anacronistica e insostenibile di prima (che già non si scherzava).

Sono vietati i provincialismi di chi crede che tutto si risolva sotto il proprio campanile, in difesa di chissà quale identità, dimenticandosi del mondo intorno a noi e vivendo l’Europa come una comunità estranea ai suoi stessi appartenenti.

Sono vietate le opacità e il non detto metodologico che accompagna troppo spesso (e da troppo tempo) la politica italiana.

Se il 2011 è stato un anno di grandi cambiamenti, il 2012 sarà l’anno decisivo. E sappiamo che il nostro tempo è questo. E poi passerà, come passa per tutti, anche se quasi tutti non riescono a farsene una ragione.

Il traguardo elettorale è qui, a un passo, ed è il caso di prepararsi a fare del nostro meglio. Per non dover dire, ancora una volta: «non eravamo pronti». Che come slogan mette un po’ di tristezza, non trovate?

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