Sei giovane, hai uno stile impeccabile, capisci le cose che altri non vedono, ma soprattutto lo fai perché ci credi, perché pensi che certe cose non si facciano, del resto hai un candidato che ti sembra l’unico in grado di cambiare le cose e lo dici pure in giro perché ci giureresti, su questa cosa, sfiori il manicheismo perché i metodi e anche i modi degli avversari non ti piacciono, sei convinto che si vinca con il merito, e che la virtù sia premio a se stessa, tipo, ti fai sfiorare dall’ambizione ma cerchi di rifiutare le lusinghe, fai bene il tuo lavoro perché tutti ti riconoscono un talento (anzi, quello che gli spagnoli chiamerebbero il talante), e poi però il sistema ti costringe, se vuoi stare al gioco, a diventare in tutto simile ai tuoi capi cinici e da anni in esaurimento ideale (in una storia in cui la donna è solo corpo e giovinezza), ad allearti con il diavolo e, soprattutto, ad affidarti a qualcuno che vince, ma ormai non se lo merita più. Anzi. E vedi le cose andare in malora, che nella vittoria fa ancora più male. E guardi dentro una telecamera che ti rimanda il vuoto, quello che senti dentro.

Idi di marzo, di George Clooney. Il più formidabile attacco alla politica degli ultimi anni.

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