Seconda tappa de La rosa dei venti, il viaggio attraverso la mobilitazione italiana. A Tilt!, ospite dei giovani di Sel e delle Fabbriche, a Roseto degli Abruzzi.

La località (nomina sunt consequentia rerum, si direbbe, e noi, del resto, nomina nuda tenemus) è a metà tra partito e movimento, alla ricerca di un luogo dove discutere, confrontarsi e immaginare qualcosa di diverso da quello a cui siamo stati abituati in questi vent'anni: e non è un caso che siano i ventenni a promuoverlo. In un campo (anche nella versione estiva del camp) che riguarda la sostanza delle cose, le scelte di fondo e la cultura politica, si sarebbe detto una volta, quando si poteva parlare così.

Michele De Palma spiega che è un fatto che ci riguarda tutti, sotto il profilo generazionale, a livello individuale e collettivo. E dobbiamo dare un segnale proprio ora, mentre le elezioni, come le pensioni, si allontanano ogni volta che sembra il momento buono (come l'acqua della fontana di Fontamara, aggiungo io):

Ci avvicinavamo e l’acqua subito spariva, la fontana di colpo si seccava. Ma appena ci allontanavamo, la fontana nuovamente gorgogliava e l’acqua tornava fresca e abbondante. La sete ci bruciava e noi non potevamo bere. Potevamo solo guardare l’acqua da lontano.

Il rischio, secondo Michele, è che si rimanga così in una «terra di nessuno», che rappresenta perfettamente «il compimento della parabola della precarietà», estesa al sistema politico e al Paese.

Ecco perché si deve incrociare l'impegno individuale e quello collettivo. E puntare tutto sulla relazione politica e sulla rappresentanza. Relazione e rappresentanza, occorre ripeterlo. E mobilitazione. Perché le cose cambiano, cambiandole. Da sole, tendono a rimanere come sono. O, forse, a peggiorare.

Per questo, la strategia di un centrosinistra che non intende consegnarsi a nessuna ipotesi di coalizione e a nessuna opzione culturale (una impostazione che un sottile analista definì una volta da «lottatori di sumo»), appare qui, a due passi dal mare, un fatto di cui qualcuno, prima o poi, si dovrà assumere la responsabilità.

Perché il vento soffia, ma le vele sono ancora ammainate. E la rotta tutta da tracciare. E nessuno potrà dire di non averlo saputo, perché la «non scelta», come la definisce Luca Telese, è una scelta di metodo e una Weltanschauung ormai:

Non scegliere porta a perdere, ma garantisce una rendita di posizione. L’egemonia sull’opposizione, il sottogoverno, la carta di riserva di un governissimo. Il segretario viene inquadrato mentre si arrotola il sigaro, sempre in relax, simbolicamente pronto alla siesta. La domanda per lui è: non vale la pena di rischiare, nello sfacelo del berlusconismo, e provare a vincere?

Tilt! forse fa segno a questo cortocircuito. A queste schermaglie che nel centrosinistra sono ancora molto frequentate, proprio nel momento in cui l'unica cosa da fare sarebbe organizzare il campo nostro contro quello degli altri. Semplice, no? Anticipando i tempi di una campagna elettorale in cui le forze conservatrici arrivano provate, confuse e divise, per la prima volta, negli ultimi anni.

La proposta che diventa di tutti in pochi minuti, e non importa a nessuno chi sia stato il primo ad avanzarla, è che i leader dell'opposizione si incontrino e che si promuovano momenti di riflessione compiuta sul piano culturale, perché non ce ne sono più da anni. Che non si confondano i ruoli con i movimenti, con i sindacati, con le associazioni di rappresentanza, con i soggetti piccoli e grandi che si sono dedicati a far (belle) proposte e a riunire (molte) persone, ma che si possa trovare un contesto e un linguaggio e un codice di riferimento per potere discutere delle cose da fare.

Tutti chiedono che si rinunci a un po' di egoismo di partito e alla visibilità di un'intervista, per rilanciare uno sguardo che rappresenti tutto lo schieramento progressista, a sua volta da definire e da costruire. Allargandolo sulla base del dibattito e delle scelte di fondo e non, al contrario, per esigenze elettorali, che spesso conducono al risultato esattamente opposto, come è accaduto in occasione delle ultime politiche, con i protagonisti che ancora calcano la scena della politica italiana.

E che ci si impegni a costruire qualcosa che duri più di due anni, perché sembra che sia scritto nella Costituzione, che i governi della destra durano un lustro, mentre il centrosinistra si deve fermare, ogni volta, a un biennio. Per errori che i giovani della sinistra giurano di non voler ripetere. Mai più. O, almeno, per i prossimi cinque anni.

Ecco la questione generazionale, che non è un fatto anagrafico, ma culturale e storico: perché il tempo di una generazione è passato. Un ciclo culturale tramonta e, qui da noi, una lunga stagione politica. E le cose sono andate talmente male che, ancora una volta, il rischio è che si affermi qualcuno che si candida rinunciando alla politica. Per certi versi, sarebbe il caso di fare esattamente il contrario. Perché per scendere in campo, prima, ci vuole il campo. E la voglia di costruirlo, perché in tanti (i 'molti') lo possano frequentare.

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